martedì 16 settembre 2003
Non so cosa penserà il mondo di me. A me sembra di essere stato solo un fanciullo che gioca sulla riva del mare e si diverte a trovare ogni tanto un sassolino un po' più levigato o una conchiglia un po' più graziosa del solito, mentre il grande oceano della verità si stende inesplorato dinanzi a me. Così, verso la fine della vita, il grande scienziato Isaac Newton (1642-1727) guardava la vicenda di studioso che aveva alle spalle, consapevole di aver scoperto solo qualche piccola porzione periferica di quel «grande oceano» che è la verità. Era questo indubbiamente un atto di umiltà che ben s'adattava a un autentico genio, capace di intuire quanto immenso sia l'orizzonte che sfugge alle pur potenti antenne della sua intelligenza. Io, però, vorrei sottolineare due altri aspetti, forse secondari ma significativi, nella dichiarazione dello scopritore della legge di gravità. Da un lato, c'è la rappresentazione dello studio come una serena e gioiosa ricerca di bellezza: il sasso più levigato o la conchiglia più graziosa sono il segno di un'armonia più generale che regge quello che noi chiamiamo con parola greca "cosmo", cioè un insieme ordinato e mirabile. E' questo che talora manca alla ricerca comune e più semplice. D'altro lato, Newton si raffigura come un bambino tutto catturato dalla passione del gioco, dalla fantasia e dallo stupore. E' questo un altro elemento che spesso viene meno nello studio dei giovani. Affermava un altro grande scienziato, Albert Einstein: «Esiste una passione per la comprensione proprio come esiste una passione per la musica. E' una passione molto comune nei bambini, ma che poi la maggior parte degli adulti perde. Senza di essa non ci sarebbero né la matematica né le scienze». Ritroviamo per noi stessi ed educhiamo i nostri ragazzi a questa passione che in loro era naturalmente sbocciata ma che poi è avvizzita.
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