martedì 12 settembre 2006
Il cinico è uno che, sentendo profumo di fiori, si guarda attorno in cerca di una bara. Propongo una frase impietosa e provocatoria: devo riconoscere, però, che mi ha divertito perché chi me l'ha citata (riferendola a uno spietato giornalista americano del secolo scorso, Henry L. Mencken) è una persona che sa accostare un motto dietro l'altro, seguendo il filo di un'ironia implacabile che non teme di tingersi anche di nero. Devo, infatti, ammettere che un pizzico di cinismo ce lo portiamo tutti dentro l'anima. Qualcuno dirà che è necessario per sopravvivere in un mondo di lupi; qualche altro affermerà che dev'essere l'indispensabile dote di chi comanda o ha responsabilità; altri ancora pensano - e mi pare che lo dichiarasse Lenin - che il cinismo
è nella realtà stessa delle cose e della storia. Sta di fatto, però, che imboccare questa strada è pericoloso perché essa è scivolosa e non si sa mai fino a quale approdo ti conduce. Una delle mete più scontate è, comunque, quella della spregiudicatezza e persino della crudeltà. Lo scrittore
inglese Oscar Wilde aveva coniato una memorabile definizione del cinico: è «colui che sa il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuna». Il rischio maggiore è appunto quello di calcolare freddamente ogni persona ed evento solo per quanto ti possano essere utili. Si perde, così, ogni umanità e amore e anche ogni senso di bellezza e di poesia. Sì, il profumo dei fiori non è più un'evocazione di armonia e splendore, ma il rimando al cofano floreale di una bara. Il cinico sta più dalla parte della morte che da quella della vita.
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