mercoledì 7 giugno 2006
Noi siamo gli invitati della vita: imparare a essere gli invitati degli altri significa lasciare la casa in cui si è invitati un po' più ricca, un po' più umana, un po' più giusta, un po' più bella di come la si è trovata. È nato a Parigi nel 1929 ed è uno dei più acclamati critici letterari a livello internazionale. È di origine ebraica e da sempre usa l'inglese anche perché vive in America: si tratta di George Steiner, a cui oggi attingo con questa riflessione che va contro un atteggiamento prevalente di nostri giorni. Si esalta, infatti, sempre più il comportamento da padroni che hanno gli stati più potenti, le classi più abbienti, gli uomini di successo, creando così l'idea secondo la quale si può nel mondo e nella vita usare delle cose e persino delle persone fino ad abusarne. È, invece, necessario ritrovare l'idea che noi siamo solo ospiti e, per di più, di passaggio sulla scena della vita e del mondo. Non è lecito comportarci nelle piccole e grandi cose con quell'arroganza e quella prevaricazione che umilia e distrugge, che finalizza tutto solo al proprio vantaggio ed egoismo. Alle parole di Steiner vorremmo poi riservare un'applicazione molto più modesta. Si provi a considerare come viene trattata non solo la casa del mondo in cui siamo ospiti ma anche semplicemente i luoghi pubblici di una città: perché le strade devono essere così sporche, i palazzi imbrattati da segnacci demenziali, i monumenti feriti, i parchi devastati, i vagoni dei treni o dei mezzi pubblici vandalizzati? Non è forse anche questa una casa comune in cui siamo invitati e nella quale si dovrebbe stare con educazione?
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