domenica 3 dicembre 2017
Nel villaggio degli Asti avevo i giorni contati. Per il momento ero ancora tollerato; si diceva che non ero andato a letto con la prima e nemmeno con la seconda perché quell'ordine non mi piaceva : bastava che trovassi quella che meritava di stare in cima alla lista e avrei fatto il mio dovere anche con le altre, smettendo di essere quel depravato che non vuole limitare il suo rapporto con loro alla banalità bestiale e ruba agli sposi legittimi il loro privilegio angelico. Una tale speranza nei miei confronti non era priva di ragione: il mio confratello si era mostrato più conciliante di me. Ugo si applicava coscienziosamente tre volte al giorno a rinchiudersi con una donna ogni volta diversa, secondo l'ordinanza prescritta dalla tribù. Appena uscito da una capanna, grondante di sudore e di soddisfazione ignobile, subito chiedeva dove doveva incontrare la seguente. Gli davo ogni volta il saluto degno delle sue buone maniere:
«In che specie di fango ti rotoli come un porco!».
«Sono piuttosto il pastore, mi ripeteva, il pastore che cerca la pecora smarrita… Per ritrovarla, non deve forse un po' perdersi anche lui?».
«Il solo realismo è quello dell'immaginazione», dicono gli Asti con una parola intraducibile che significa al tempo stesso “immaginazione” e “ricordo” – ma anche “baule da viaggio con doppio fondo”. Assistetti a una cerimonia di matrimonio. Accade di notte. L'uomo e la donna sono nudi, nella penombra, visibilmente imbarazzati. Ciascuno guarda l'ombra immensa che l'altro proietta su un grande muro, grazie al fuoco mobile che brucia alle loro spalle. Poco a poco le ombre si avvicinano per fondersi in un solo profilo nero che le fiamme fanno tremare. Gli sposi contemplano quella fusione che mai gli permetterà di raggiungere la solidità dei corpi né la vita in comune (che di comune, secondo loro, non ha che l'accumularsi dei rimproveri e delle amarezze). In quell'istante, si confidano all'orecchio il loro nome segreto. Poi la sposa viene ricoperta con un ampio velo nero, si fa indossare allo sposo un poncho che gli dà l'aspetto di un masso e i due si voltano le spalle, si allontanano per non rivedersi mai più. Ma ciascuno, nel suo ritiro, continuerà a pronunciare il nome segreto del coniuge, come se fosse una cosa sola con i suoi sogni. Il divorzio resta comunque possibile. Uno che vuole rompere va ad accoppiarsi col suo amore nel modo più brutale, facendo sentire bene le grida di piacere. Esiste anche lo stupro. È quello che stavo commettendo io, rifiutando di accoppiarmi con la donna di un altro. La madre non è mai quella che porta il bambino: questo legame caratterizza troppo gli animali vivipari. Non è neanche quella che lo allatta: la scrofa fa lo stesso. Non è neppure quella che lo alleva: pure il contatto pedagogico è troppo abietto (forse perfino più abietto degli altri). La madre è sorteggiata tra quelle che hanno avuto le mestruazioni il giorno stesso del parto. Quel sangue inutile è il segno di un legame profondo con il nuovo piccolo mortale. Ma non lo vedrà mai. E va da sé che anche il figlio avrà il dovere di non visitarla mai. Ma potrà pronunciare il suo nome segreto di madre nella solitudine, invocarla quando tutto va male, come la Vergine Maria, in qualche modo. Lei sarà del resto l'unica altra donna con cui non si accoppierà (ma andrà invece volentieri con sua madre biologica, dato che con lei ha già conosciuto l'avvilimento carnale più grande). Siccome gli uomini sono più mobili, a causa della caccia, capita al padre (lo sposo lontano della madre) di incrociare il proprio figlio. Tutti e due allora abbassano la testa. Salutano gli altri ma non si salutano tra loro. Neppure un cenno degli occhi. Sono tuttavia i soli a sapere reciprocamente i loro nomi misteriosi di padre e di figlio, che ripetono in fondo a se stessi, come una preghiera.
(13, continua. Traduzione di Ugo Moschella)
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