giovedì 20 febbraio 2003
Le punizioni non portano che alla sottomissione e all'ipocrisia e niente è più lontano dalla verità della finzione. Si comincia col fingere per compiacere gli altri, ma si finisce per mentire anche a se stessi. L'ed. Iperborea di Milano mi invia costantemente la sua collana di romanzi scandinavi: è una selezione di opere condotta in modo sempre attento, capace di aprire un orizzonte a molti ignoto eppur affascinante. Sto ora leggendo La casa del felice ritorno, un esodo verso il passato. A descriverlo è Leena Lander, scrittrice finlandese nata nel 1955. Dalle sue pagine estraggo questa osservazione fatta da un pastore protestante. Due sono le componenti che vorrei sottolineare. Innanzitutto, si deve sempre ricordare che la mera paura non educa mai, non costruisce mai una persona autentica. Certo, è necessario il timore che - come dice la Bibbia - è "principio di sapienza", ma non il terrore. Il timore, infatti, è rispetto, è riconoscimento delle esigenze della giustizia. La paura è mero spavento che genera ansia e angoscia e, per autodifesa, anche finzione. E, così, arriviamo alla seconda nota. Fingere può essere appunto un modo per proteggerci da paure esterne, ma lentamente chi adotta questo "mimetismo" di difesa, simile a quello del camaleonte, si trasforma proprio nell'immagine artefatta, nell'inganno che ha modellato. Si giunge, allora, a non conoscersi più, anzi, a mentire pure a se stessi. La simulazione produce falsità, doppiezza, ipocrisia e, alla fine, ci sono persone (non solo alcuni politici) che credono alle menzogne che essi stessi hanno elaborato!
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