Epitteto e Leopardi Filosofia vissuta
venerdì 21 maggio 2021
Quando nel 1825 Leopardi tradusse il Manuale di Epitteto, uno dei testi classici della filosofia stoica, aveva appena scritto la maggior parte delle sue Operette morali. Ora quella traduzione viene riproposta dall'editore Aragno con testo greco a fronte e un'ampia postfazione di Giuseppe Raciti (pagine 132, euro 13,00). Una tale pubblicazione si raccomanda per diverse ragioni, ma soprattutto perché offre al lettore di oggi un'immagine molto efficace e concreta di quella “filosofia pratica” che soprattutto dopo Platone e Aristotele si era diffusa, sull'esempio di Socrate, prima in Grecia e poi a Roma. In questo tipo di filosofia prevalentemente morale, in cui dominavano due correnti di pensiero in apparenza contrapposte, ma in realtà complementari e spesso mescolate, come l'epicureismo e lo stoicismo, il problema centrale non era la conoscenza, la teoria e la logica, quanto invece la vita del singolo in società e in solitudine, il «come vivere» senza errori, colpe, illusioni, desideri irrealizzabili e timori immaginari. Il culmine dell'epicureismo romano lo si trova in Lucrezio e Orazio, mentre il filosofo stoico per eccellenza è Seneca. Quest'ultimo era stato maestro di Nerone (che lo costrinse più tardi al suicidio sospettandolo di aver congiurato contro di lui). Anche Epitteto, uno schiavo condotto a Roma dall'Asia Minore e poi liberato, faceva parte dello stesso ambiente. Il suo Manuale raccoglie una serie di insegnamenti essenziali trascritti da Arriano, un generale che di Epitteto era stato discepolo. Leopardi conclude la sua nota introduttiva dicendo che l'aver seguito quei precetti gli era stato di «utilità incredibile». Un'altra delle buone ragioni per leggere Epitteto è che la filosofia moderna, fino a oggi, ha trascurato il fatto che fin dalle origini e per circa due millenni dire filosofia ha significato «vivere filosoficamente», migliorare sé stessi evitando e combattendo falsità e autoinganno. Si tratta di una lunghissima tradizione il cui maggiore studioso è stato recentemente Pierre Hadot, a partire dal suo libro più noto, Esercizi spirituali e filosofia antica. Da quando in Occidente quella tradizione si è interrotta, la filosofia moderna (Leopardi lo sapeva) è diventata, oggi più di ieri, gioco verbalistico, arte combinatoria di astrazioni concettuali e terminologie gergali. Così la “filosofia pratica” è sparita e se ne sente, se ne vede la mancanza.
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