sabato 28 gennaio 2017
C'è chi sostiene che la cosa più urgente che il cristianesimo deve predicare in rapporto al denaro è la sua desacralizzazione. In effetti, nelle società della nostra tarda modernità in cui viviamo, la religione viene facilmente sostituita e desacralizzata, ma il denaro, per esempio, è diventato invece uno spazio sacro. Occupa un luogo centrale, domina l'organizzazione del mondo, detiene un prestigio assoluto, in tanti vedono in esso la chance di redenzione. Quando leggiamo i vangeli, possiamo raggruppare l'insegnamento di Gesù attorno a due domande. La prima: che ne facciamo del denaro, come lo usiamo, a cosa davvero serve nella nostra vita? È una riflessione necessaria, dal momento che il denaro può servire a fare tanto il bene quanto il male. Possiamo peccare di omissione quando lasciamo che l'avarizia impermeabilizzi il nostro cuore. Ma possiamo ripartire fra di noi, fare la festa della condivisione e, con i nostri beni, qualificare la vita in modo fraterno. L'altra domanda di Gesù è più intima e, in certo modo, più radicale. Non è più "che ne facciamo del nostro denaro?", ma: "Che cosa il denaro fa di noi?". L'avere finisce per assumere un'influenza determinante sull'essere. Anche il modo in cui possediamo condiziona, diminuisce oppure espande le frontiere del nostro essere. Il denaro è chiamato a essere strumento, ad avere una finalità di amore e giustizia che lo trascende… e non a esistere solo per essere ciecamente accumulato.
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