sabato 25 gennaio 2020
Quando iniziamo a corromperci? Quando, e come, la nostra vita comincia a sfaldarsi, e a smarrirsi, a scivolare verso quella inesorabile perdita di "umanità", all'inseguimento dell'illusione di poter bastare a se stessi? Papa Francesco l'ha voluto chiedere l'altro giorno, nell'omelia della Messa mattutina a Santa Marta, sottolineando come il segreto per essere «buoni cristiani» sta nell'essere «obbedienti a Dio». Che vuol dire «docilità», ovvero accondiscendenza nel seguire la volontà del Signore sempre e comunque, anche quando sembrerebbe metterci «nei guai».
Può apparire semplice detto così. Ma per arrivare a quel livello di abbandono alla parola del Signore è indispensabile mettersi davvero in ascolto di ciò che Dio ha da dirci, che ci ripete di continuo, su tutto ciò – giustizia, carità, perdono e misericordia – che distingue la vita dei credenti. Se al contrario questa obbedienza, questa docilità manca, è allora che inizia la corruzione, che passo dopo passo ci consuma l'anima. Si incomincia «con una piccola disobbedienza, una mancanza di docilità, e si va avanti, avanti, avanti...». E così, a forza di pensare, supporre, interpretare, smussare, edulcorare, si finisce con il «preferire ciò che io penso e non quello che mi comanda il Signore e che forse non capisco». Ci ribelliamo alla volontà di Dio, e in tal modo commentiamo «un peccato di divinazione». Come se, mentre affermiamo È di credere in Dio, «si andasse dall'indovina a farsi leggere le mani "per sicurezza"».
Ma questa non è altro che idolatria, perché «quando tu ti ostini davanti alla volontà del Signore sei un idolatra, perché preferisci quello che pensi tu, quell'idolo, alla volontà del Signore... Tante volte noi preferiamo le nostre interpretazioni del Vangelo o della Parola del Signore al Vangelo e alla Parola del Signore. Per esempio, quando cadiamo nelle casistiche, nelle casistiche morali... Questa non è la volontà del Signore».
È la stessa cosa che nel giugno del 2011 disse Benedetto XV, che in una catechesi del mercoledì mise in evidenza come l'idolatria sia sempre in agguato anche tra i credenti, che «si illudono di poter servire due padroni, e di poter servire l'Onnipotente riponendo la loro fiducia anche in un Dio impotente fatto dagli uomini». Ma l'idolo rimane muto: «Pensato dall'uomo come qualcosa di cui si può disporre e che si può gestire con le proprie forze, la adorazione degli idoli anziché aprire il cuore all'alterità che permette di uscire dagli orizzonti angusti dell'egoismo, chiude la persona nel cerchio esclusivo e disperante della ricerca di sé».
Tutto questo quando, ha aggiunto Francesco l'altro giorno, la volontà di Dio è invece «chiara»: «La fa vedere con i comandamenti nella Bibbia e te la fa vedere con lo Spirito Santo dentro il tuo cuore. Ma quando io sono ostinato e trasformo la Parola del Signore in ideologia sono un idolatra, non sono docile. La docilità, l'obbedienza». A vincere su questa idolatria, e a vincere e sulla superbia che a essa è sempre strettamente connessa, è la Parola del Signore che «sempre è novità, ci porta avanti sempre... vince sempre, è meglio di tutto. Vince l'idolatria, vince la superbia e vince questo atteggiamento di essere troppo sicuri di se stessi, non per la Parola del Signore ma per le ideologie che io ho costruito attorno alla Parola del Signore». Per questo, dunque, essere un buon cristiano vuole dire essere «docile» alla Parola di Dio, e non essere «incoerenti nella vita», usando «una ideologia per potere andare avanti». Bisogna fidarsi di Dio, questa è la chiave di tutto.
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