Da alienazione a naja, a yuppies, le parole «disabitate»
sabato 26 marzo 2011
Libro interessante e bel gioco culturale quello offerto da Raffaella De Santis con il suo Le parole disabitate (editore Aragno). Noi abitiamo le parole, in particolare certe accoglienti parole pubbliche che diventano, per periodi più o meno lunghi, luoghi di incontro collettivo, luoghi comuni. Le abitiamo e frequentiamo e poi, a una certa svolta d'epoca, le abbandoniamo, le disertiamo, le lasciamo «disabitate».
L'autrice di questo libro ha fatto la sua ricerca su quella parte del vocabolario novecentesco che ci siamo lasciati alle spalle e nel quale non ci incontriamo né
riconosciamo più. Parole: ma si potrebbe dire cose, concetti, fenomeni, ideologie, mode, fantasmi mentali voraci, oppure onnipresenti oggetti d'uso, modi di essere e di dire, feticci terminologici. Per esempio: Alienazione, Autarchia, Assemblea, Autocritica, Avanguardia, Beat, Benpensanti, Brillantina e Capelloni, Compagno e Dibattito, Epurazione e Fabbrica, Flipper e Gangster, Happening e Juke-box, Macchina da scrivere e Naja, Padroni e Proletari, Rivoluzione e Sistema, Squadrismo, Villeggiatura, Volantinaggio, Yuppies, ecc. L'epigrafe scelta dall'autrice è tratta dal Mondo Nuovo (1932) di Aldous Huxley e dice: «Cosa significavano esattamente queste parole? Lo sapeva soltanto a metà. Ma la loro suggestione era potente e continuava a rumoreggiare nella sua testa».
Nominare non significa sapere. Le parole ci trasmettono l'impressione di possedere e conoscere le cose. Ma l'abuso di certi termini è spesso il sintomo di un desiderio ossessivo di controllo che invece non abbiamo. Esiste un verbalismo culturale che maschera i vuoti culturali. A questo dizionario delle parole ormai «disabitate» se ne potrebbero aggiungere altre. Ma qualche parola meriterebbe di essere adottata di nuovo. Di forme di Alienazione, per esempio, ce ne sono ancora molte e si moltiplicano. Il Sistema sociale, poi, oggi non è meno, anzi è più potente di prima, proprio perché non se ne parla.
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