mercoledì 16 novembre 2005
Lo spirito della conversazione consiste non tanto nel dimostrarsi spiritosi, ma nell'aiutare gli altri a dimostrarsi tali. Chi vi lascia, dopo una conversazione, contento di sé e del suo spirito, lo sarà anche di voi. Credo sia accaduto a tutti di ritornare da una cena o da una visita di amici con un po' di amaro in bocca. Le ragioni possono essere due e antitetiche. O si è monopolizzato il discorso, lasciando gli altri quasi muti, forse col rischio di aver esagerato, annoiato o prodotto una cattiva impressione per qualche parola di troppo. Oppure, al contrario, non si è stati in grado di esprimere la propria opinione, travolti dalla prevalenza dell'ospite o di un'altra persona. Conversare, anche tra amici, non è un atto banale; anzi, ha sempre qualche esito che si trasforma in giudizio su di noi o sull'altro. È ciò che ci ricorda lo scrittore moralista francese Jean La Bruyère (1645-1696), la cui opera I caratteri sono una manna per chi, come me, deve trovare ogni giorno una frase il più possibile essenziale e sostanziosa. Egli oggi ci insegna una sorta di legge per esercitarci nello «spirito della conversazione». Essa è semplice: più che mostrarti, lascia che sia l'altro a esprimersi; favorisci il suo discorso, esercita l'arte (tutt'altro che facile) dell'ascolto, non prevaricare con la saccenza o con la superiorità. Alla fine, forse avrai imparato qualcosa, ma avrai sicuramente conquistato una persona e la sua stima. Certo, è un po' utilitaristico il suo consiglio, ma in tempi in cui si eccede nel contrasto e nella sopraffazione verbale (la televisione insegna), questa norma non è solo di buon senso ma diventa anche un esercizio di virtù e di rispetto dell'altro.
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