mercoledì 10 agosto 2005
Poiché io gli sono debitore della mia vita, avendo Cristo dato la sua vita per la mia, il mio ringraziamento non può essere espresso se non con tutta l'esistenza. Qui sta la logica del cristianesimo: non si può dir grazie in modo adeguato se non con tutta la propria esistenza. Perché ho citato questo passo dell'opera Cordula che il grande teologo svizzero Hans Urs von Balthasar pubblicò nel 1966? La risposta è nella celebrazione che la liturgia oggi ci propone, quella di uno dei martiri più cari alla nostra tradizione, il diacono romano Lorenzo, arrestato assieme al papa Sisto II dall'imperatore Valeriano e avviato a quel martirio che la leggenda immaginerà in modo macabro come una sorta di "arrostimento" su graticola. Sulla sua tomba sorse la ben nota basilica del Verano che porta il suo nome. Due sono le riflessioni che questa figura ci propone sulla scia della citazione di von Balthasar. La prima è quella della radicalità di una vita consacrata interamente a un ideale e, nel caso del cristiano, a una persona. Al dono di Cristo che ti ha amato dando la vita per te, tu
rispondi col dono parallelo di te stesso. È questa la logica dell'amore puro e assoluto che è non di rado testimoniato da chi dona se stesso per l'altro, confermando la celebre frase di Gesù stesso: «Non c'è amore più grande di chi dona la vita per la persona amata». La seconda considerazione è legata a un altro modello di donazione attestato da Lorenzo. Egli era il gestore dei beni della Chiesa di Roma che venivano prevalentemente destinati ai poveri, da lui definiti durante il suo processo, «i tesori della Chiesa». Lo sono veramente anche
per le nostre comunità? E il nostro impegno per loro è simile a quello di Lorenzo?
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