giovedì 12 gennaio 2006
Ogni uomo altro non è che figlio della tua stessa specie. Ogni uomo ha un"anima, un"anima come la tua, tutti sono sensibili. Sensibili come sei tu.Ho letto nei giorni scorsi un libro intitolato Sogni senza sbarre (ed. Cortina). L"autrice, una mia cara amica (ma non parente nonostante il cognome), Lella Ravasi Bellocchio, psicanalista junghiana, è andata nel carcere femminile milanese di S. Vittore ad ascoltare alcune storie di donne là segregate, varcando le "otto porte di ferro". Sono racconti dolorosi e nostalgici ma anche a loro modo sereni e liberi: importante è ascoltarli per superare la reazione istintiva di chi vuole subito giudicare, prima di capire. Le narrazioni ricostruite da Lella sono tutte intarsiate di evocazioni poetiche di grande intensità e trasparenza.Ne ho scelta una, antica e remota: quelli sopra citati sono versi di un poeta mistico musulmano del X sec., al Hattabi. Il suo è un invito ad andare al di là della pelle, delle figure, delle impressioni, per scoprire nell"intimo di ogni creatura umana quella sostanza che tutti ci accomuna. La Genesi parlava di «immagine di Dio» impressa in ogni uomo e donna; Gesù si identificava col carcerato, il malato, il povero («tutto quello che avrete fatto a uno di questi fratelli più piccoli, l"avrete fatto a me»). Anche se sepolto sotto strati di male, anche se protetto da forme di autodifesa scostanti e fin brutali, batte sempre in ogni persona un cuore, respira sempre un"anima. Una poetessa americana, Sylvia Plath, morta suicida nel 1963 appena trentenne, confessava: «Sono abitata da un grido./ Di notte esso esce svolazzando/ in cerca, coi suoi uncini, di qualcosa da amare». Proprio perché tutti sono «sensibili come sei tu».
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