mercoledì 20 luglio 2011
Siamo come pachidermi, tendiamo le braccia l'uno verso l'altro, ma è fatica sprecata. Riusciamo appena a sfregare l'uno contro l'altro le nostre ruvide pellacce. Siamo molto solitari.

Wir sind sehr einsam, «siamo molto solitari»: è amara la finale della nostra citazione odierna, tratta dal dramma La morte di Danton di un famoso autore tedesco, Georg Büchner, morto di tifo nel 1837 a soli 24 anni, lasciando capolavori come il celebre Woyzek che ebbe anche una riduzione musicale con Alban Berg. Nel dramma da noi evocato il protagonista è il noto corifeo della Rivoluzione francese, Danton, al quale si associa Robespierre. Una battuta dell'opera è significativa: «Perché soffro? Ecco la rocca dell'ateismo!». Dolore, solitudine, morte sono segni dell'assenza, del silenzio e quindi della negazione di Dio. Ma ritorniamo all'immagine forte dei pachidermi che non riescono ad abbracciarsi ma solo a sfregarsi e che, perciò, non conosceranno mai la tenue delicatezza di una carezza che riscalda il cuore.
Per fortuna dobbiamo smentire il cupo pessimismo di Büchner che denuncia sia l'isolamento dell'uomo, sia la sua condizione schizoide di creatura capace e desiderosa di amore, ma votata alla crudeltà e alla misantropia. È possibile rompere quel cerchio magico e incontrarci. Le nostre pelli sono più delicate di quelle degli elefanti e possiamo abbracciarci. Tuttavia, non si deve ignorare la bestialità che pure ospitiamo in noi e che ci allontana o, peggio, ci spinge a incrociare le braccia in duelli, in assalti e prove di forza. O ancora, a ignorarci, ciascuno nella sua solitudine, come scriveva il poeta Giorgio Caproni: «Un uomo solo, / chiuso nella sua stanza…/ Solo in una stanza vuota, / a parlare. / Ai morti».
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