sabato 24 dicembre 2005
«O Signore, non ho, come i Magi che sono dipinti sulle immagini, dell'oro da offrirti»./ «Dammi la tua povertà!»./ «Non ho neppure, o Signore, la mirra dal buon profumo né l'incenso in tuo onore»./ «Figlio mio, dammi il tuo cuore». Per il mio augurio natalizio sono ricorso a una lirica molto semplice, quasi didascalica di un tenero poeta francese, Francis Jammes (1868-1938), amante della natura, dei sentimenti delicati e dei valori cristiani. Egli si definiva «il portavoce delle piccole anime», quelle che di solito sono ignorate e persino calpestate dai potenti e dai sapienti del mondo. Davanti al Bambino il poeta è lì, senza doni d'oro e senza aromi preziosi, come avevano potuto offrire i Magi. Gesù guarda quelle mani vuote ma non ha nessuna esitazione nel chiedere i due doni in assoluto a lui più cari, la povertà e il cuore. La povertà biblica è, certo, anche il distacco dal possesso e dall'accumulo, ma è soprattutto l'apertura dello spirito a Dio, ai fratelli, al mistero. Il cuore non è solo il sentimento, ma è soprattutto la coscienza. Ecco, allora, la vera offerta del Natale, gradita a Cristo: dare a lui e all'impegno per il Vangelo tutto se stessi, nella passione, nella disponibilità, nella generosità dell'amore. È la riscoperta di una religiosità radicale che non si accontenta di qualche devozione o di qualche beneficenza, ma che si irradia nell'esistenza trasfigurando giorni e opere, riso e lacrime, atti grandi e azioni semplici. È, allora, l'augurio di ritrovare una fede autentica che alimenti la vita e che colmi il corpo e l'anima, donando forza nella prova e serenità nella quotidianità.
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