mercoledì 21 novembre 2018
Era giugno, la scuola era finita, faceva caldo. Quel lunedì sera mio padre se ne stava in canottiera davanti alla tv, il portacenere una piramide di mozziconi, la stanza una nuvola di fumo. Lo vidi - e mi pare di vederlo ancora - sul divano, tesissimo, la faccia di chi attende un responso fondamentale. Non sentiva quasi quel che gli dicevo. Era l'ora dello scrutinio: gli italiani avevano votato. Io no, non ancora diciottenne. Estranea alla politica, sapevo però di una forte tensione, per quel voto. 20 giugno 1976, quando Indro Montanelli aveva detto: turatevi il naso, ma votate Dc.
Davanti alla tv mio padre sembrava davvero angosciato. Io non capivo: cosa doveva succedere, poi? Eravamo in Italia, era estate, si sarebbe andati al mare: non poteva succedere niente. In realtà, era il momento del possibile sorpasso della Dc da parte del Pci. Mio padre, inviato di guerra, i comunisti sovietici li aveva visti in Ungheria nel '56 e a Praga nel '68, con i carri armati. Tremava, all'idea dei comunisti al governo.
Quella sera mi torna in mente, in questi mesi di mare grosso in Italia. Sempre più spesso il tg mi dà l'angoscia. Spiego a mia figlia perché. Lei, distratta, davanti allo specchio si mette il rimmel sulle ciglia. Il futuro pesa sul cuore dei padri, che sanno. A diciott'anni forse conta, colmo di vita, solo l'attimo presente.
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