Auerbach: il realismo non è positivista ma romantico (e soprattutto cristiano)
Fra i più grandi critici del Novecento, se Edmund Wilson, maestro nell'arte della recensione, è spesso dimenticato, Erich Auerbach, maestro di critica stilistica e comparatistica, è tornato al centro dell'attenzione. Finalmente si riconosce che il suo metodo critico non lo rende "sorpassato" e che il suo capolavoro Mimesis. La rappresentazione della realtà nella letteratura occidentale (1946) è probabilmente il vertice della critica novecentesca. Il libro resta memorabile per chiunque lo abbia letto: soprattutto per chi lo ha letto a vent'anni, quando si ha bisogno di opere eccellenti, di ampio respiro e insieme analitiche.
Nei suoi venti capitoli, Mimesis percorre la letteratura europea partendo da Omero e dalla Bibbia per arrivare a Virginia Woolf, Proust, Joyce, Mann. A metà strada incontriamo Dante e Montaigne, Shakespeare e Cervantes. Leggendo il saggio "Romanticismo e realismo", pubblicato da Auerbach nel 1933 e ora tradotto sul numero 56 di "Allegoria", si capisce ancora meglio quale sia stato lo spunto iniziale di Mimesis. Si tratta delle radici romantiche (e non positiviste) del realismo: stile e metodo che nasce, come si vede in Stendhal e Balzac, dalla particolare, rivoluzionaria inclinazione della fantasia romantica per la realtà quotidiana. In Balzac il quotidiano è lo spazio-tempo in cui si concentra e si incarna la totalità della vita. La fantasia romantica serve a descrivere ciò che esiste. Stendhal e Balzac usano un'immaginazione che non esclude niente di quanto concretamente accade. Fondano nella fisicità la vita interiore e inventano un nuovo tipo di eroe tragico, aldilà della separazione classicista fra sublime e comico. La realtà quotidiana è la sola autentica e viene perciò "presa sul serio". Questo (conclude Auerbach) ha origine nel Medioevo e nella storia di Cristo, il Dio incarnato. È perciò la "dedizione di Dio alla realtà terrena" ciò che ha fondato la rappresentazione della realtà nella letteratura moderna.
Nei suoi venti capitoli, Mimesis percorre la letteratura europea partendo da Omero e dalla Bibbia per arrivare a Virginia Woolf, Proust, Joyce, Mann. A metà strada incontriamo Dante e Montaigne, Shakespeare e Cervantes. Leggendo il saggio "Romanticismo e realismo", pubblicato da Auerbach nel 1933 e ora tradotto sul numero 56 di "Allegoria", si capisce ancora meglio quale sia stato lo spunto iniziale di Mimesis. Si tratta delle radici romantiche (e non positiviste) del realismo: stile e metodo che nasce, come si vede in Stendhal e Balzac, dalla particolare, rivoluzionaria inclinazione della fantasia romantica per la realtà quotidiana. In Balzac il quotidiano è lo spazio-tempo in cui si concentra e si incarna la totalità della vita. La fantasia romantica serve a descrivere ciò che esiste. Stendhal e Balzac usano un'immaginazione che non esclude niente di quanto concretamente accade. Fondano nella fisicità la vita interiore e inventano un nuovo tipo di eroe tragico, aldilà della separazione classicista fra sublime e comico. La realtà quotidiana è la sola autentica e viene perciò "presa sul serio". Questo (conclude Auerbach) ha origine nel Medioevo e nella storia di Cristo, il Dio incarnato. È perciò la "dedizione di Dio alla realtà terrena" ciò che ha fondato la rappresentazione della realtà nella letteratura moderna.
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