Giovannini: «Archiviamo il Pil. Per l’ambiente e contro le disuguaglianze»

Per il co-fondatore dell'ASviS, tra i 14 esperti scelti dall’Onu per elaborare nuovi metodi di valutazione del benessere, «oggi si trascurano aspetti fondamentali per persone ed ecosistemi»
August 16, 2025
Giovannini: «Archiviamo il Pil. Per l’ambiente e contro le disuguaglianze»
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«Superare il Prodotto interno lordo? Non solo si può, si deve». Ne è sicuro Enrico Giovannini, co-fondatore e direttore scientifico dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), una rete di oltre 300 soggetti della società civile creata per attuare in Italia l’Agenda 2030 dell’Onu. Oltre a essere professore ordinario di Statistica economica e Sviluppo sostenibile all’Università di Roma Tor Vergata. È stato ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili del Governo Draghi e del Lavoro e delle Politiche sociali del Governo Letta. È stato a capo della direzione statistica e Chief statistician dell’Ocse e presidente dell’Istat.
Come ha accolto la sua nomina all’Onu? Unico italiano in un gruppo di 14 esperti incaricato di elaborare nuovi sistemi di valutazione del benessere che integrino e vadano oltre il Pil.
Mi ha fatto piacere, ma devo dire che me l’aspettavo, anche perché ho lavorato su questo tema negli ultimi 25 anni e ho più volte parlato di questo tema con la vicesegretaria generale dell’Onu Amina Mohammed. Le radici dell’iniziativa erano già contenute nei documenti preparatori al Patto sul futuro, tra cui “Our Common Agenda” e “Valuing what counts: framework to progress beyond gross domestic product” con cui l’Onu ha sottolineato la necessità di superare un «anacronismo dannoso» al centro dell’elaborazione delle politiche globali, il fatto che gli attuali parametri di misura dello sviluppo trascurano troppo spesso aspetti fondamentali per il benessere di persone ed ecosistemi, mentre includono attività che danneggiano la vita sulla Terra. Da questo punto di vista, l’elaborazione di parametri complementari al Pil è cruciale per migliorare il modo in cui vengono prese le decisioni politiche e definite le priorità nazionali e internazionali. Domandarsi simultaneamente se una politica stimola lo sviluppo economico, migliora la vita dei più poveri o favorisce i più ricchi, distrugge l’ambiente, può promuovere un profondo cambio di mentalità, agendo sul modo in cui le società concepiscono e perseguono il progresso. È la prima volta che si vuole andare oltre il Pil a livello globale.
Ma davvero il Pil è diventato “antiquato”?
Non è più sufficiente come indicatore di prosperità, perché mentre nelle fasi iniziali dello sviluppo aumentare il Pil porta benefici come l’educazione, la salute, eccetera oggi sappiamo che concentrarsi esclusivamente sul fattore economico esclude una serie di aspetti ambientali, di giustizia sociale e di sostenibilità ambientale altrettanto cruciali per la nostra società. Per questo motivo, il Segretario Generale dell’Onu António Guterres, sulla scia degli impegni presi con l’Agenda 2030 e con il Patto sul futuro, ha nominato questo gruppo indipendente di esperte ed esperti. Per ora ci incontriamo da remoto ogni 15 giorni e dobbiamo inviare il nostro Rapporto all’Assemblea Generale entro dicembre, così che tutto il mondo ne possa discutere e decidere come procedere.
In questo modo il benessere dovrebbe ritornare al centro delle politiche…
Tecnicamente si può fare, come dimostrano vari progetti in corso sul tema, ma ora serve la volontà politica di superare una visione del mondo in cui ciò che conta è produrre, piuttosto che il benessere delle persone e del Pianeta. Le 300mila morti premature all’anno che abbiamo in Europa per l’inquinamento non entrano nel Pil, così come le emissioni di gas climalteranti o il lavoro di cura, che però è così importante per le persone. L’aumento del Pil può andare ai soli ricchi o essere più equamente distribuito. La politica ha bisogno di comunicare alle persone che si possono realizzare degli obiettivi multipli, per questo gli indicatori sono così importanti. Non a caso l’articolo 3 del Trattato europeo dice che lo scopo dell’Unione Europea è promuovere la pace, i valori e il benessere dei popoli, e poi elenca, di fatto, i 17 obiettivi a cui si è ispirata l’Agenda Onu.
Riuscirete a trovare una “quadra”?
Nel 1944 – in un incontro negli Usa – il governo degli Stati Uniti chiamò gli economisti inglesi e statunitensi per decidere come calcolare il Pil e decise di calcolarlo sulla base della produzione, semplicemente perché volevano dimostrare che il capitalismo era in grado di produrre più cose del comunismo. Dopo 80 anni, nonostante le tante modifiche intervenute nella contabilità nazionale seguiamo ancora un modello simile. È veramente ora di cambiare perché è diventato impellente uno sviluppo sostenibile attento al benessere delle persone. Negli ultimi tre anni al Centro di ricerca della Commissione Europea abbiamo sviluppato un approccio per la misura del benessere equo e sostenibile, che ora abbiamo proposto all’Onu. Tra l’altro, l’Europa ha un livello di benessere superiore a quello degli Stati Uniti, mentre guardando solo alla dimensione economica sembra vero il contrario.
Come è messa l’Italia?
Purtroppo, siamo indietro su tanti obiettivi rispetto all’Agenda 2030. E siamo messi peggio rispetto al 2010 sulla lotta alla povertà e alla disuguaglianza, sulla questione ecologica e sulla cooperazione internazionale. Dopo la pandemia l’Italia ha visto crescere Pil e occupazione, ma le disuguaglianze sono aumentate e la condizione ambientale sono peggiorate. Quindi anche l’Italia, che pure ha un notevole insieme di indicatori di benessere, deve usarli per cambiare le scelte politiche.
Cosa serve per invertire la rotta?
Prima di tutto un cambiamento culturale profondo. Spero nei giovani. Ma non basta. Andare oltre il Pil è anche riconoscere le difficoltà in cui si trovano i giovani. Ma serve lungimiranza, la capacità di specificare visioni per il nostro futuro, generare piani d’azione e impegnarsi nel realizzarli. E poi abbiamo bisogno di speranza, come ne abbiamo di innovazione, ma non solo tecnologica, anche sociale e politica: per questo, l’ASviS ha lanciato il Progetto “Ecosistema Futuro”, anche per aiutare i nostri giovani a contare di più, come prevede anche il Patto sul Futuro. Purtroppo, secondo i dati Gallup, in Europa, Nord America e Australia la qualità della vita sta peggiorando, nonostante l’aumento del Pil. Per questo dobbiamo avere una visione più ampia dello sviluppo, anche per l’Africa e l’area del Mediterraneo.
In che senso?
Le primavere arabe, per esempio, nascono da un problema climatico. Una siccità che causò prima una crisi economica, sociale e poi politica. La sostenibilità (ambientale sociale ed economica) deve diventare il riferimento per le politiche del XXI secolo ovunque. Se l’Africa, con le forti tendenze demografiche, seguisse politiche unicamente finalizzate alla crescita economica senza guardare alla sostenibilità sociale e ambientale i rischi per l’Italia, l’Europa e il Mondo sarebbero altissimi.
Da ex ministro come vede questo “cantiere” Italia?
Nel corso del Governo Draghi abbiamo stanziato oltre 100 miliardi di euro in infrastrutture e mobilità per favorire lo sviluppo, ridurre le disuguaglianze tra le aree del Paese, sviluppare le interconnessioni ferroviarie, potenziare i sistemi portuali, ridurre l’inquinamento e migliorare la qualità della vita delle persone. Abbiamo stanziato anche molti fondi per l’emergenza idrica, specialmente nel Sud. Ma bisogna continuare a investire negli anni a venire.
Lei crede alla decrescita felice?
Non mi ha mai convinto. Credo invece nel superamento del Pil. A fronte della decrescita del Pil o del benessere, credo sarebbe possibile la crescita continua del benessere equo e sostenibile. Ed è questo che dobbiamo cercare di realizzare in tutto il mondo.

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