lunedì 7 gennaio 2019
Nel discorso al corpo diplomatico il richiamo al primato della giustizia, l'attenzione ai più deboli e l'Ue invitata a non tradire i suoi valori. Il buon politico non occupa spazi ma avvia processi
Il Papa: la via del dialogo oltre populismi e nazionalismi
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È tempo di reimpiantare una «diplomazia multilaterale, mediante la quale gli Stati tentano di sottrarre le relazioni reciproche alla logica della sopraffazione che conduce alla guerra». È questo in estrema sintesi il messaggio che il Papa ha rivolto oggi all’annuale incontro con i rappresentanti del Corpo diplomatico presso la Santa Sede. Sulla griglia del memorabile Discorso alle Nazioni Unite del 1965 di san Paolo VI, il Papa ha pertanto messo a fuoco quattro tratti essenziali che sono d’interesse vitale per una moderna diplomazia multilaterale, che è del resto caratterizzante dell’approccio realistico alle questioni perseguito dalla tradizione diplomatica della Santa Sede. Ricordando il centenario della Società delle Nazioni, istituita con il trattato di Versailles del 28 giugno 1919 – organizzazione che oggi non esiste più ma che ha aperto una strada, poi percorsa con con l’istituzione nel 1945 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite – papa Francesco ha indicato questa strada, che seppure minata dalle difficoltà, resta «pur sempre un’innegabile opportunità per le Nazioni di incontrarsi e di ricercare soluzioni comuni». A fronte «del riemergere di tendenze nazionalistiche, che minano la vocazione delle Organizzazioni internazionali ad essere spazio di dialogo e di incontro per tutti i Paesi». A fronte delle «propensioni populistiche e nazionalistiche» che come allora prevalsero sull’azione della Società delle Nazioni e che oggi riappaiono come pulsioni che progressivamente indeboliscono il sistema multilaterale, «con l’esito di una generale mancanza di fiducia, di una crisi di credibilità della politica internazionale e di una progressiva marginalizzazione dei membri più vulnerabili della famiglia delle nazioni».

Per il Papa e la Santa Sede «premessa indispensabile del successo della diplomazia multilaterale sono la buona volontà e una buona fede degli interlocutori, la disponibilità a un confronto leale e sincero e la volontà di accettare gli inevitabili compromessi che nascono dal confronto tra le parti». Se anche uno solo di questi elementi viene a mancare, «prevale la ricerca di soluzioni unilaterali e, in ultima istanza, la sopraffazione del più forte sul più debole. La Società delle Nazioni – riprende papa Francesco – entrò in crisi proprio per questi motivi e, purtroppo, si nota che i medesimi atteggiamenti anche oggi stanno insidiando 1a tenuta delle principali organizzazioni internazionali».

Prima di entrare nel merito delle questioni Francesco ha voluto però spiegare cosa spinge il Papa – e dunque la Santa Sede – a preoccuparsi dell’intera famiglia umana e delle sue necessità anche d’ordine materiale e sociale senza tuttavia ingerire nella vita degli Stati: «È l’obbedienza alla missione spirituale, che sgorga dall'imperativo che il Signore Gesù ha rivolto all'apostolo Pietro: “Pasci i miei agnelli” (Gv 21,15)», perciò è così che ambisce «ad essere un ascoltatore attento e sensibile alle problematiche che interessano l’umanità, con il sincero e umile desiderio di porsi al servizio del bene di ogni essere umano». «È questa premura – ribadisce il Papa – che spinge la Chiesa in ogni luogo ad adoperarsi per favorire l'edificazione di società pacifiche e riconciliate».

E in questa prospettiva di premurosa sollecitudine è da intendere ad esempio il consolidamento delle relazioni tra la Santa Sede e il Vietnam, in vista della nomina, nel prossimo futuro, di un Rappresentante pontificio residente, così come la firma dell’Accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei Vescovi in Cina, avvenuta il 22 settembre scorso. Un accordo che è «frutto di un lungo e ponderato dialogo istituzionale, mediante il quale si è giunti a fissare alcuni elementi stabili di collaborazione tra 1a Sede apostolica e le Autorità civili». Ricordando il segno visibile di ciò è stata anche la partecipazione di due vescovi dalla Cina continentale al recente Sinodo dedicato ai giovani il Papa auspica perciò che «il prosieguo dei contatti sull’applicazione dell'Accordo provvisorio siglato contribuisca a risolvere le questioni aperte e ad assicurare quegli spazi necessari per un effettivo godimento della libertà religiosa».

1. Il primato della giustizia, del diritto e la buona politica
Il primo elemento della diplomazia multilaterale a cui la Santa Sede richiama è il primato della giustizia e del diritto. Citando il Discorso alle Nazioni Unite di papa Montini, il suo attuale Successore ricorda che il grande principio dei rapporti tra i popoli è quello «di essere regolati dalla ragione, dalla giustizia, dal diritto, dalla trattativa, non dalla forza, non dalla violenza, non dalla guerra, e nemmeno dalla paura, né dall’inganno». Prospettiva più stringente che mai guardando al preoccupante «riemergere delle tendenze a far prevalere e a perseguire i singoli interessi nazionali senza ricorrere a quegli strumenti che il diritto internazionale prevede per risolvere le controversie e assicurare il rispetto della giustizia, anche attraverso le Corti internazionali». Atteggiamento questo rintracciabile oggi in quanti sono chiamati a responsabilità di governo dinanzi «al malessere che sempre più si sta sviluppando tra i cittadini di non pochi Paesi, i quali percepiscono le dinamiche e le regole che governano la comunità internazionale come lente, astratte e in ultima analisi lontane dalle loro effettive necessità».

È opportuno – afferma papa Francesco – che le personalità politiche ascoltino le voci dei propri popoli e che ricerchino soluzioni concrete per favorirne il maggior bene, il quale esige rispetto del diritto e della giustizia all’interno delle comunità nazionali e a quella internazionale, perché «soluzioni reattive, emotive e affrettate non contribuiranno di certo alla soluzione dei problemi più radicali, anzi li aumenteranno».

Un aspetto essenziale della buona politica è quello di perseguire il bene comune di tutti, in quanto «bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo», favorendo la pace, perché c’è un’intima relazione fra la buona politica e la pacifica convivenza fra i popoli e le nazioni. Alla politica è perciò richiesto di essere «lungimirante e di non limitarsi a cercare soluzioni di corto respiro». E il buon politico pertanto «non deve occupare spazi, ma avviare processi», è chiamato a far prevalere l’unità sul conflitto, alla cui base vi è «la solidarietà, intesa nel suo significato più profondo».

Quindi esercitare il rispetto della dignità di ogni essere umano, che è una premessa indispensabile per ogni convivenza realmente pacifica e il rispetto del diritto, che costituisce lo strumento essenziale per il conseguimento della giustizia sociale e per alimentare vincoli fraterni tra i popoli. Papa Francesco rimanda al ruolo fondamentale svolto dai diritti umani, enunciati nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, di cui si è celebrato il 700 anniversario e il cui «carattere universale, oggettivo e razionale sarebbe opportuno riscoprire», affinché non prevalgano visioni parziali e soggettive dell’uomo che rischiano di aprire la via a nuove disuguaglianze, ingiustizie, discriminazioni, violenze e soprusi.

2. La difesa dei più deboli
Questo il secondo elemento da tenere in asse per una diplomazia multilaterale. Il Papa ricorda che la Chiesa è da sempre impegnata nel sovvenire chi è nel bisogno e la Santa Sede stessa si è fatta, nel corso di questi anni, promotrice di diversi progetti a sostegno dei più deboli, che hanno ricevuto appoggio anche da diversi soggetti a livello internazionale e tra questi cita l'iniziativa umanitaria in Ucraina in favore della popolazione sofferente. Ma da parte sua, anche la Comunità internazionale con le sue organizzazioni è chiamata a dare voce a chi non ha voce. E tra i senza voce del nostro tempo ricorda le vittime delle altre guerre in corso, specialmente di quella in Siria, con l'immenso numero di morti che ha causato e fa appello alla Comunità internazionale «perché si favorisca una soluzione politica ad un conflitto che alla fine vedrà solo sconfitti». Non manca poi di menzionare i numerosi profughi che il conflitto ha causato e la gratitudine verso la Giordania e il Libano che li hanno accolti ma anche la Colombia, che, insieme con altri Paesi del continente americano, negli ultimi mesi ha accolto un ingente numero di persone provenienti dal Venezuela. Sul versante mediorientale ricorda che tra quanti sono toccati dall'instabilità vi sono specialmente i cristiani, ed è importante che i cristiani abbiano un posto nel futuro della Regione, e dunque incoraggia quanti hanno cercato rifugio in altri luoghi di fare il possibile per ritornare alle loro case auspicando che «le autorità politiche non manchino di garantire loro la necessaria sicurezza e tutti gli altri requisiti che permettano ad essi di continuare a vivere nei Paesi di cui sono cittadini a pieno titolo e contribuire alla loro costruzione». Tenuto conto che il Medioriente è teatro di scontro di molteplici interessi contrapposti papa Francesco afferma che «non bisogna tralasciare il tentativo di frapporre inimicizia fra musulmani e cristiani: «Anche se nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, in diversi luoghi del Medio Oriente essi hanno potuto per lungo tempo convivere pacificamente». In questa prospettiva si inserisce il prossimo viaggio apostolico in due Paesi a maggioranza musulmana: il Marocco e gli Emirati Arabi Uniti, due importanti opportunità per sviluppare ulteriormente il dialogo interreligioso e la reciproca conoscenza fra i fedeli di entrambe le religioni, nell'ottavo centenario dello storico incontro tra san Francesco d'Assisi e il sultano al-Malik al-Kämil.

Sulla questione dei migranti il Papa ribadisce la consapevolezza che le ondate migratorie di questi anni hanno causato diffidenza e preoccupazione tra la popolazione di molti Paesi, specialmente in Europa e nel Nord America, e ciò ha spinto diversi governi a limitare fortemente i flussi in entrata, anche se in transito. «Tuttavia, ritengo – afferma – che a una questione così universale non si possano dare soluzioni parziali. Le recenti emergenze hanno mostrato che è necessaria una risposta comune, concertata da tutti i Paesi, senza preclusioni e nel rispetto di ogni legittima istanza, sia degli Stati, sia dei migranti e dei rifugiati». Per la Santa Sede «non si può risolvere quindi la sfida della migrazione con una logica della violenza e dello scarto, né con soluzioni parziali e dichiara gratitudine per gli sforzi di tanti governi e istituzioni che, mossi da generoso spirito di solidarietà e di carità cristiana, collaborano fraternamente in favore dei migranti. E ricorda come la Santa Sede si sia adoperata attivamente nei negoziati e per l'adozione dei due Global Compacts sui Rifugiati e sulla Migrazione sicura, ordinata e regolare.

Tra gli altri deboli, sottolinea che accanto ai giovani particolare attenzione deve essere posta quella verso i bambini. In quest’anno in cui ricorre il 30° anniversario dell'adozione della Convenzione sui diritti del fanciullo, non manca da parte del Papa il riferimento agli abusi, anche da parte del clero, contro i minori che «costituiscono uno dei crimini più vili e nefasti possibili». Senza poi dimenticare la questione della violenza sulle donne e la loro persistente discriminazione negli ambienti lavorativi e un’altra piaga del nostro tempo: il lavoro schiavo, ricordando che cento anni fa nasceva l'Organizzazione Internazionale del Lavoro, che si è adoperata per favorire condizioni adeguate di lavoro e accrescere una dignità degli stessi lavoratori.

3. Essere ponte tra i popoli e costruttori della pace
Con san Paolo VI il Papa ripete che «la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità! E voi sapete che la pace non si costruisce soltanto con la politica e con l’equilibrio delle forze e degli interessi, ma con lo spirito, con le idee, con le opere della pace». E menziona i segnali di pace dati nel 2018 con l’accordo tra Etiopia ed Eritrea, che pone fine a vent’anni di conflitto e ripristina le relazioni diplomatiche fra i due Paesi, l’intesa sottoscritta dai leader del Sud Sudan, come pure i segni positivi giunti dalla Penisola coreana. Tra gli altri la Santa Sede auspica che possa riprendere il dialogo fra israeliani e palestinesi, come pure l’impegno concorde della comunità internazionale necessario per favorire la pace nell’intera Regione e particolarmente nello Yemen e in Iraq.

4. Ripensare al nostro destino nella casa comune: no alle armi
Il quarto tratto della diplomazia multilaterale è ripensare il nostro destino comune. Il Papa attualizza ancora il discorso alle Nazioni unite di san Paolo VI che invitava «a pensare in maniera nuova la convivenza dell’umanità» e stigmatizza con preoccupazione la nuova corsa agli armamenti constando come il mercato delle armi non sembra avere battute arresto e prolifera nella ricerca di armi sempre più sofisticate e distruttive. «In questa sede intendo ribadire che non possiamo non provare un vivo senso di inquietudine se consideriamo le catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali che derivano da qualsiasi utilizzo degli ordigni nucleari. Pertanto, anche considerando il rischio di una detonazione accidentale di tali armi per un errore di qualsiasi genere, è da condannare con fermezza la minaccia del loro uso, nonché il loro stesso possesso». «Le relazioni internazionali – afferma – non possono essere dominate dalla forza militare, dalle intimidazioni reciproche, dall’ostentazione degli arsenali bellici. Le armi di distruzione di massa, in particolare quelle atomiche, altro non generano che un ingannevole senso di sicurezza e non possono costituire la base della pacifica convivenza fra i membri della famiglia umana, che deve invece ispirarsi ad un’etica di solidarietà».


Ripensare il nostro destino comune nel contesto attuale significa anche ripensare il rapporto col nostro Pianeta per il quale il Papa sottolinea l’urgenza di «trovare un accordo in seno alla comunità internazionale». E alla luce del consenso raggiunto alla recente Conferenza internazionale sul clima svoltasi a Katowice, auspica un impegno più deciso da parte degli Stati a rafforzare la collaborazione nel contrastare con urgenza il preoccupante fenomeno del riscaldamento globale. Lo sguardo è poi rivolto all’Amazzonia, che sarà al centro del prossimo sinodo speciale dei vescovi nel mese di ottobre, che non mancherà anche di affrontare «le problematiche ambientali in stretto rapporto con le ricadute sociali».

Un ultimo richiamo è rivolto all’Europa e all’Italia. Il 2019 è l’anniversario della caduta del muro di Berlino. Ora che «prevalgono nuove spinte centrifughe», afferma il Papa, e si rialzano nuove cortine «non si perda in Europa la consapevolezza dei benefici – primo fra tutti la pace – apportati dal cammino di amicizia e avvicinamento tra i popoli intrapreso nel secondo dopoguerra». Quanto all’Italia che nel febbraio di novant’anni fa firmava i patti lateranensi dando i natali allo Stato del Vaticano, papa Francesco ricorda che con quella nascita «la Chiesa poté nuovamente contribuire appieno alla crescita spirituale e materiale di Roma e di tutta l’Italia» e rivolge una particolare preghiera per il popolo italiano «affinché, nella fedeltà alle proprie tradizioni, mantenga vivo quello spirito di fraterna solidarietà che lo ha lungamente contraddistinto».

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