domenica 8 novembre 2015
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Nel sonno che avvolge a livello internazionale il tema della maternità surrogata, o «utero in affitto», cioè la pratica – che ufficialmente la legge vieta in Italia – per cui una donna porta avanti una gravidanza per conto di altri, sembra di avvertire un sussulto di risveglio. Mentre, da un lato, cresce la pressione mediatica ad accettare, dopo tutte le tecniche di procreazione assistita, questo ultimo gradino, in nome di un 'diritto al figlio' che si pretende assoluto, dall’altro anche tante coscienze laiche, tra cui spiccano figure autorevoli e rispettate della sinistra e del femminismo, a partire dalla Francia, si riscuotono: la maternità surrogata non è il «dono» di cui si (stra)parla, ma è duro mercato, ed è l’ultimo sfruttamento del corpo della donna che la storia ci presenta.  C’è quello, appena più evoluto e ben più caro, del Nord America. E ci sono soprattutto le madri surrogate reclutate nei Paesi più poveri del Sudamerica, dell’Asia e dell’Est, selezionate come sane 'fattrici', inseminate artificialmente, legate a surreali contratti in cui si impegnano a fornire un 'prodotto' conforme ai criteri concordati. Solo, naturalmente, donne poverissime accettano un simile baratto. A loro vanno pochi euro, il resto è 'macchina': medici, laboratori, avvocati che prosperano sul fenomeno. Si tratta di una nuova forma di colonialismo; più odioso, perché radicato nel seno della donna, in quel figlio che nella gravidanza le diventa istintivamente già caro. La novità appunto, l’alito di speranza, è che laiche autorevoli, femministe note, parlino apertamente.  Ha iniziato in Francia la filosofa Sylviane Agacinski, già docente alla Ecole des hautes études en sciences sociales  e firmataria con centinaia di intellettuali del manifesto  Stop surrogacy  pubblicato nel maggio scorso su Libération  e in Italia reso noto solo dal nostro giornale. Pochi giorni fa Agacinski ha annunciato, ancora su queste pagine nell’intervista con Daniele Zappalà, per il prossimo 2 febbraio, le Assise per l’Abolizione universale della maternità surrogata: all’Assemblea nazionale, cioè al Parlamento francese.  Mercoledì scorso in una intervista a Lucia Bellaspiga sempre su Avvenire,  Luisa Muraro, pensatrice icona del femminismo italiano, ha portato il peso del suo contributo nel dibattito: «Io – ha detto – ho sempre dato come scontata per i Paesi europei, almeno per quelli più antichi, una posizione di civiltà acquisita. Ora invece nulla è più scontato, a causa di questo fenomeno per cui si inventano 'diritti' di tutti i tipi. Non esiste un diritto ad avere figli a tutti i costi, eppure ce lo vogliono far credere: finito il tempo delle grandi aggregazioni e dei partiti, è un nuovo modo di fare politica cercando consensi. L’utero in affitto è la strada attuale per lo sfruttamento del corpo delle donne». Parole in cui ritroviamo preoccupazioni e accenti nostri. Anche noi avvertiamo uno slittamento della civiltà occidentale, se in qualsiasi maniera, anche indiretta, legittima questo mercato di donne-fattrici. Come un dimenticarsi di sé, delle proprie radici, di tante battaglie. E in nome di che? Di un 'diritto a un figlio' assoluto e idolatrico, dentro un sentimentalismo 'generoso' che nasconde invece un individualismo sopraffattore. Commissiona un figlio la coppia eterosessuale che non riesce ad averne (o, persino, non lo vuole col disagio della gravidanza...), ma, inevitabilmente, lo deve fare la coppia maschile gay. Ed è questo il motore che spinge potentemente la rivendicazione e il volano del consenso: la maternità surrogata è ciò che permette a due uomini, coppia per definizione sterile, di ritrovarsi genitori. È, dunque, la pretesa del 'diritto' meno naturale che ci sia. Che, poi, per arrivare a questo occorra servirsi del corpo di una donna, pare secondario; ci si racconta, a giustificarsi, di una 'logica del dono' che nella quasi totalità dei casi non esiste, giacché è chiaro che non si mette al mondo un figlio altrui per privarsene, se non per disperato bisogno. La convocazione al Parlamento francese, certe voci che cominciano a levarsi, o l’adesione a 'Stop surrogacy', a maggio, di uno come José Bové, guru francese della lotta contro gli Ogm, fanno sperare che un fronte più ampio di opinione pubblica stia cominciando a aprire gli occhi. «Fare della maternità un servizio remunerato è una maniera di comprare il corpo di donne disoccupate che presenta molte analogie con la prostituzione», ha detto Agacinski. Brutale, ma vero. L’«utero in affitto» però non vende solo il corpo femminile, ma insieme un altro essere umano. Come non vedere la sopraffazione?  Tremate, le donne son tornate, recitava un vecchio slogan femminista. Forse, le donne stanno ora cominciando a tornare; non c’è da tremare però, piuttosto fa paura l’idea di un mondo in cui le donne tacciano, e guardino da un’altra parte.
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