sabato 17 luglio 2010
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Sempre più temibile. L’area di Bala Murghab, nella regione di Herat, dove opera il nostro contingente, è divenuta una zona fra le più pericolose dell’Afghanistan, come purtroppo testimonia lo stillicidio di attacchi ai nostri soldati, i quali con coraggio e professionalità presidiano quella che è ormai una via di fuga per gli insorti dai combattimenti con le forze angloamericane nel sud-est del Paese.Ma questa è stata un’amara settimana di sangue per tutto il contingente Nato, proprio alla vigilia dell’apertura di una conferenza internazionale sull’Afghanistan che si terrà a Kabul per volere del governo del presidente Karzai. L’obiettivo ufficiale è quello di portare rappresentanti di 70 Paesi e istituzioni internazionali a discutere dello stato di stabilizzazione e di ricostruzione; quello non esplicitato è la volontà di dimostrare il ruolo afghano in questi processi e la voglia di esibire una normalità più sperata che reale. Una vetrina paradossalmente importante anche per i taleban, che certamente cercheranno di colpire Kabul e le forze internazionali sfruttando il palcoscenico mediatico offerto dall’evento.In fondo, un elemento decisivo per la strategia degli insorti è non solo migliorare la situazione sul campo, ma anche influenzare la percezione che se ne ha, tanto in occidente quanto nel mondo islamico. Un attacco di grande impatto durante i giorni della conferenza contribuirebbe a rafforzare il pessimismo che aleggia sull’andamento del conflitto. Obiettivo opposto a quello di Karzai, che ha invece bisogno di far percepire l’idea di un governo saldamente al comando, padrone del territorio e con un forte sostegno internazionale. Un governo che offre trattative di pace ai talebani non per disperazione, ma perché sicuro della propria forza.Fra questi giochi di illusioni politiche, la realtà sul terreno. Molto più confusa, incerta e sfumata. Il traumatico cambio del comando Isaf, che ha portato alla defenestrazione di Stanley McChrystal e all’arrivo di David Petraeus, non ha certo giovato all’immagine del contingente Nato, ma difficilmente produrrà significativi mutamenti nella strategia. Tanto più con la campagna d’estate contro i taleban già avviata. Si avvertono, poi, cambiamenti tattici sia nelle relazioni con il governo nazionale sia con i funzionari "civili", con un nuovo comandante che sembra meno propenso ad ascoltare e più a comandare su tutte le altre strutture impegnate nella stabilizzazione. Ma difficilmente, come si dice informalmente nei circoli militari, Petraeus «reinventerà la ruota». La strategia basata sulla riconquista delle province contese, sul maggior coordinamento delle politiche di aiuto e sul sostegno alle forze armate afghane non si trasformerà rapidamente, a meno che gli eventi sul terreno costringano a farlo.La verità è che è difficile fare previsioni in un scenario di sicurezza così incerto e con un panorama politico tanto instabile, sia a livello afghano sia a livello regionale. Per questo ogni comandante militare sul campo sa quanto sia poco credibile fissare date certe per l’inizio del disimpegno militare internazionale. Proprio quelle date certe che i politici, Obama in testa, vorrebbero per tranquillizzare le proprie inquiete opinioni pubbliche. E per questi stessi motivi sarebbe sciocco attendersi miracoli dall’imminente conferenza internazionale di Kabul. Gli obiettivi di rendere meno corrotta e inefficiente l’amministrazione centrale e periferica afghana, di ridurre l’apatia e l’ostilità di tanti cittadini afghani verso il governo, così come di coordinare meglio gli sforzi internazionali militari e civili richiederà tempo, impegno, determinazione e nervi molto saldi.
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