martedì 30 agosto 2016
Come vincere la sfida contro lo spopolamento. Lezioni da imparare dei terremoti precedenti. (Angelo Picariello)
Quante case da ricostruire?
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«Mi ricordo una battuta di Indro Montanelli a Conza, epicentro del sisma dell’Irpinia. Aveva lanciato una sottoscrizione con Il Giornale, eravamo in uno di quei prefabbricati in legno utilizzati per sostituire le tende. Mi fa: 'Se li avesse donati Agnelli li chiamerebbero chalet, siccome li ha fatti lei vedrà, li chiameranno container'». Giuseppe Zamberletti ride di gusto. Corsi e ricorsi storici. L’uomo che ha portato speranza nei due più rovinosi terremoti del secolo scorso – commissario in Friuli e in Irpinia – non smette di fare l’uomo del 'bicchiere mezzo pieno' che abbiamo conosciuto, in grado di portare un sorriso anche di fronte a chi ha perso tutto.

Gli 'chalet' in legno per l’emergenza, promossi a Onna, tornano di moda: «Sono la soluzione più idonea per tenere la gente in una vicinanza psicologicamente importante ai propri luoghi, in strutture provvisorie ma dignitose, in grado di essere montate in poche settimane e rimosse agevolmente una volta che sarà possibile rientrare nelle proprie case», dice Zamberletti. 83 anni ben portati con la prospettiva di scavallare gli 85 ancora sulla breccia, al vertice dell’Istituto Grandi Infrastrutture che presiede, incarico nel quale è stato riconfermato per il prossimo triennio. Guardando indietro c’è tanto da imparare, errori da non ripetere. «Dell’Irpinia ci si ricorda solo in negativo, ma alla fine quel che fece saltare i conti è stato l’ampliamento dell’area del danno e l’industrializzazione forzata». Con l’occhio rivolto all’oggi, «c’è da limitarsi all’intervento nelle aree più colpite, inserendo quelle solo danneggiate in un piano di messa in sicurezza generale che riguarda tutta la mappa dell’Italia a rischio sismico».

Quanto alle industrie, «in Irpinia l’obiettivo fu portare lavoro in terre povere già segnate dall’emigrazione. Il piano fallì, ma va ricordato anche di grandi aziende dell’agro-alimentare come Ferrero, Zuegg e Barilla che invece sono andate avanti, puntando a valorizzare i prodotti della zona, e non a speculare». Il problema si ripropone. «Ci sarà da combattere lo spopolamento di questi centri montani, se si vorrà davvero ricostruirli, ma lo si dovrà fare sostenendo l’economia del posto, partendo dalle stalle, dall’enogastronomia e dall’agricoltura».

Ci sarà da evitare gli errori fatti all’Aquila. Niente new town, no a case in muratura, troppo poco precarie per dare l’idea che si vuol davvero ricostruire. «Ma soprattutto serve al più presto una legge, per lunghi anni negata al terremoto abruzzese, dando tutti i poteri alla Protezione civile, lasciando i Comuni privi di una bussola. Nel terremoto dell’Irpinia, ricordo, avevo il divieto come responsabile dell’emergenza di realizzare strutture definitive. Di questo si occupò la successiva legge di ricostruzione che puntò tutto sugli enti locali, Regioni e Comuni. I problemi della Campania hanno pesato, ma sul versante della Basilicata – ricorda – si poté ripetere l’esperienza positiva del Friuli».

Si parla molto del modello Gemona. Fatto di una bella collaborazione Regioni-Comuni. «Influì la grande tradizione dell’amministrazione friulana. Ma questo terremoto che riguarda 5-6 Comuni e ben 3-4 Regioni può consentire di ripetere quell’esperienza attraverso una sorta di tutoraggio da parte di ogni Regione del proprio Comune, o Comuni, di riferimento che da soli non hanno strutture tecniche per far fronte». Positiva per Zamberletti la scelta per il commissario caduta su Vasco Errani, «sia per la positiva esperienza da governatore nel sisma dell’Emilia, sia per la precedente esperienza di coordinatore delle Regioni, che potrà risultare utile».

Vista dall’alto si vede che Amatrice è stato, un secolo fa, un centro che superava i 10mila abitanti. Così come Arquata del Tronto superava i 7mila. Oggi i residenti effettivi, in entrambi i casi, sono meno di un quarto, ma se la scelta è quella di ricostruire questi centri il più possibile somiglianti a come erano prima, sarà importante coinvolgere attivamente anche i proprietari non residenti. Il sindaco di Ascoli Piceno, Guido Castelli ben conosce la doppia residenza di tanti cittadini ascolani originari di Arquata del Tronto portata alla luce dalla struggente storia della morte della piccola Marisol, «il cui papà, rimasto ferito, conosco molto bene». Definisce una «follia retaggio di un’idea di socialismo reale un po’ preconcetta», quella che vede nel possesso di una seconda casa l’indice di per sé di ricchezza. «I nvece – spiega Castelli, vicepresidente e responsabile enti locali dell’Anci – qui si tratta semplicemente di famiglie che non se la son sentita di privarsi di un pezzo della memoria della loro famiglia». Questi proprietari, però, non sono stati ammessi ai contributi per la messa in sicurezza degli edifici. «Un tragico errore – lo definisce Castelli – da non ripetere ora nella ricostruzione». L’ordinanza della Protezione civile assegna 200 euro al mese, fino a un massimale di 600 a famiglia per i senzatetto che si sistemeranno a spese loro. Questo potrebbe portare il numero dei senzatetto da sistemare anche sotto i 2mila: in tanti potrebbero preferire l’ospitalità di un parente a Roma, Ascoli o Rieti a una tenda oggi o una casetta in legno domani. Bisognerà però dare una prospettiva di ricostruzione a tutti, residenti e non, per non condannare questi centri a scomparire, concordano Zamberletti e Castelli.

Che fare? Se verranno ridisegnate la nuova Amatrice e la nuova Arquata (col contributo, si dice, di un architettourbanista del calibro di Renzo Piano), ricostruire per un privato potrà costituire anche un dovere oltre che un diritto? Il modello Gemona, nel ricordo di Zamberletti offre una soluzione drastica: «Non ci si può affidare all’esito di assemblee condominiali litigiose, o ridursi ad aspettare l’ultima firma dello zio d’America. Così nella legge prevedemmo l’esproprio delle aree fino a ricostruzione effettuata. Le case non riscattate dai proprietari vennero poi messe in vendita dal Comune, e furono in molti casi acquistate da ufficiali dell’esercito in congedo che decisero di stabilirsi lì. Il risultato che Gemona alla fine si ritrovò più abitanti di quanti ne aveva prima del sisma», ricorda Zamberletti. Non sarebbe male riuscire a fare lo stesso ad Amatrice, che contava circa 2.500 abitanti fino a qualche giorno fa e dopo averne persi oltre 200 sotto le macerie potrebbe perderne altri per ulteriore spopolamento.

Castelli pensa però a una soluzione diversa: «Quel risultato fu possibile in Friuli e in un momento diverso dell’economia». Per funzionare stavolta pensa invece alla creazione di una «società di scopo», su iniziativa pubblica, e con componenti miste istituzioni, associazioni di imprese o consorzi e proprietari. Qualcosa di simile a quanto fu realizzato – spiega – con le 'Stu', società di trasformazione urbana, società per azioni messe in campo per l’attuazione di piani regolatori o di strumenti urbanistici. 

 Alla fine anche questa strada comporterà la necessità per i Comuni di andare sul mercato per collocare gli immobili non riscattati dai privati. «Fondamentale, ripeto, sarà creare incentivi anche per i non residenti proprietari. Così potrà funzionare. Anzi. Faccio una promessa. Questa proposta la porterò al prossimo direttivo dell’Anci. E sono convinto che stavolta, con il concorso di tutti, ce la si può fare».

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