venerdì 21 agosto 2009
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Forse ci vorrebbero le penne di Pierpaolo Pasolini, da moralista laico; di Giovannino Guareschi, da conservatore urticante; di Ennio Flaiano, da caustico fustigatore o persino di Indro Montanelli, principe dei giornalisti, per descrivere e decifrare l’Italia minima di oggi. Perché può bastare una serata nella provincia italiana per capire quanto questo Paese stia cambiando, senza che nessuno batta ciglio o si ponga almeno qualche domanda. Ci proviamo noi con i nostri poveri mezzi, invocando, al tempo stesso, la nascita di una nuova classe di intellettuali che non si arrenda allo spirito volgare del tempo e che contribuisca a costruire una dimensione laica della morale, nella quale tutti i codici siano compresi, da quelli linguistici a quelli comportamentali, non escluse le dimensioni della corporeità e della sua educazione. Ma veniamo allo spunto di queste nostre riflessioni. Una serata in un villaggio del Sud, organizzata dagli adolescenti che improvvisano uno spettacolo per i loro coetanei e per le famiglie. La sorpresa è grande. Questi ragazzi, in maggioranza bambine alla soglia dell’adolescenza, vittime delle rappresentazioni televisive, mettono in scena balletti che, per movenze e allusioni, sono al limite della pedofilia. Non entriamo nei particolari perché sono superflui, ma provate a fidarvi del nostro sguardo. Al punto che, imbarazzati, lo distogliamo di proposito dalla scena e lo concentriamo piuttosto sui genitori e sui nonni. Papà e mamme, palestrati e modaioli, sono entusiasti. Il corso di balli sudamericani che hanno pagato durante l’inverno ha dato i suoi frutti. Che si tratti di balli tutti smaccatamente allusivi e sensuali per loro non conta nulla. Anzi. I nonni seguono distratti e qualcuno non è affatto entusiasta, ma preferisce non interferire. Cerca di mimetizzarsi o si allontana in anticipo. Per fortuna c’è una bambina annunciatrice che dimostra davvero la sua età. Veste da adolescente ed evita accuratamente di mettere in mostra fianchi, ombelichi e via immaginando. Le sue semplicissime barzellette, alternate ad alcune canzoni cantate con maestria da una ragazza più grande, riducono il danno e l’imbarazzo. Alla domanda su chi abbia preparato la 'scaletta', otteniamo questa risposta: hanno fatto tutto loro, le ragazzine. Bene? No, male. Se solo un genitore avveduto li avesse accompagnati, forse avrebbe evitato la riproposizione di balletti degni di veline­letterine- schedine figlie della nostra televisione demenziale e diseducativa. Ma ciò che più ci ha impressionato è stato l’intravedere tra il pubblico, le sorelle maggiori di quelle bambine, poco più che adolescenti, già pronte, per abbigliamento (si fa per dire) e atteggiamenti, per un salto al Billionaire o nelle discoteche più a rischio. Dunque, una serata qualunque, in un ambiente quasi familiare, nella provincia italiana profonda. Anche qui il modello vincente è quello beceramente televisivo, con tutto il suo corredo di disvalori, a partire dalla corporeità utilizzata come mezzo e svilita a oggetto di consumo. Giovanissime fanciulle, ancora bambine, vengono già catapultate in un mondo in cui il corpo, se non è addirittura merce di scambio, è assunto a codice linguistico e relazionale. C’è da rabbrividire, eppure questi genitori plaudenti e questi nonni disorientati sono come ipnotizzati. È chiaro che non è opportuno generalizzare e tanto meno tirare conclusioni affrettate, ma questo piccolo episodio segnala una tendenza. Pasolini, quarant’anni fa, agli albori del femminismo, denunciava con i suoi versi quelle «povere ragazze della migliore borghesia», emancipate eppure «servizievoli e disponibili»... Oggi, in tempi di massificazione e omologazione devastanti, come Pasolini ci aveva avvertiti, siamo al capolinea del corpo-merce. In attesa di un tardivo – e forse non impossibile – ravvedimento delle femministe, ci limitiamo ad osservare che se qualcuno ha dei dubbi sull’assoluta centralità della questione educativa, forse dovrà ricredersi. E soprattutto farlo in tutta fretta.
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