martedì 29 aprile 2014
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Due Papi santi, Roncalli e Wojtyla, e due Papi in piazza, Francesco e il suo predecessore emerito Benedetto, a proclamarli. In un giorno che consegna alla storia il mezzo secolo che ha cambiato, rovesciato la vita della Chiesa, a partire da quel Concilio Vaticano II che mai come oggi, forse, come in questo 27 aprile 2014, mostra l’ esplosiva forza di rinnovamento che l’evento seppe imprimerle.Dei molti sensi di una giornata come quella appena vissuta,  eccone uno che probabilmente, al di là e perfino ben oltre l’irresistibile onda emozionale che ha suscitato, è destinato a restare sui libri di storia. Perché è il giorno in cui la Chiesa, onorando i due vescovi di Roma probabilmente più amati del Novecento, ha detto che, se esiste, è solo per servire il mondo da "servo inutile", e che la sua forza non è quella degli uomini che la rappresentano, neppure quella dei sui Papi, per quanto straordinarie le loro figure possano essere, ma quella che viene dallo Spirito, che fa sempre nuove le cose.A dircelo è quel filo rosso lungo mezzo secolo che parte da Roncalli, che nel discorso della luna, il giorno in cui si apriva il Concilio, disse di sé «la mia persona conta niente»; e passa da Wojtyla che nell’«Ut unum sint» introdusse il tema del ripensamento del ministero petrino, in quella prospettiva ecumenica; e ancora da Ratzinger e da una rinuncia che quelle parole di Giovanni XXIII hanno reso concrete; e fino ad arrivare a Francesco, e al suo esplicito richiamo dell’"Evangelii gaudium" alla riforma del papato. Un filo rosso nitido, netto, che ci parla della continuità, dell’intima connessione, della profonda coerenza di quel processo di conversione iniziato da un Concilio che ancora oggi, come dice Francesco, resta il faro che illumina l’orizzonte della missione della Chiesa. E che proprio nel ministero del successore di Pietro, sempre e solo "servo dei servi", trova la prima testimonianza.Così, quel che domenica abbiamo visto a San Pietro non è stato il "trionfo" della Chiesa, ma tutta la sua umiltà. Elevando al rango di Santi Roncalli e Wojtyla, ha celebrato il suo saper essere dentro la storia con le scarpe di Pietro, il pescatore di uomini, mandato sulle strade del mondo ad annunciare il Risorto. Ha detto di come, e quanto, proprio in questo suo radicarsi nella storia concreta dell’uomo, in questo suo schierarsi dalla parte dei deboli, dei senza voce, degli affamati, di quelli che il mondo considera i vinti, la sua missione abbia acquisito credibilità e spessore anche agli occhi di chi non crede.Ed è proprio di questo, alla fine, che l’oceano di folla che ha invaso San Pietro, facendo della cerimonia di domenica probabilmente la più partecipata di sempre in Vaticano, anche più dei funerali di Giovanni Paolo II, ha dato testimonianza. Non una prova di forza, un muscolare affermare del "guardate quanti siamo", ma dell’amore che solo l’amore può generare. Uno stringersi intorno a un Padre che ha saputo trasmettere tanto amore da darci la forza di restituirlo al mondo per farlo diverso. Un mondo a cui donare la pace vera, quella pace, come ci ha ricordato Francesco nella sua visita ad Assisi, che «non è un sentimento sdolcinato... e neppure è una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo», ma «quella di Cristo», e la trova chi "prende su di sé" il suo "giogo", cioè il suo comandamento: amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. E questo giogo non si può portare con arroganza, con presunzione, con superbia, ma solo si può portare con mitezza e umiltà di cuore».
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