sabato 6 dicembre 2008
COMMENTA E CONDIVIDI
Lo Stato ha diritto di esercitare ogni controllo perché in nessuna parte del territorio si riuniscano persone che preparano azioni violente, o terroristiche, o si coltivino disegni eversivi magari in collegamento con organizzazioni straniere. Questo principio basilare dello Stato di diritto è a garanzia di tutti i cittadini, e l'applicazione che se ne è avuta nei giorni scorsi nei confronti di persone sospette in strutture o centri musulmani utilizzati contro la legge, non può che avere il consenso dei cittadini e delle componenti sociali. D'altra parte non è soltanto il ministero dell'Interno a gettare l'allarme sull'uso che viene fatto di alcune moschee, ma sono stati gli stessi musulmani moderati che si riconoscono nei principi della Costituzione a segnalare il problema, nell'aprile di quest'anno, quando hanno affermato con una solenne Dichiarazione che «l'organizzazione di molte moschee e la formazione degli imam si svolgono fuori di regole certe e formalizzate» provocando così «allarme e preoccupazione nell'opinione pubblica». Non solo, ma le stesse personalità musulmane moderate si sono impegnate ad agire per «garantire l'autonomia da ogni ingerenza o centrale straniera, rifiutare ogni collegamento con organizzazioni integraliste e marcare un confine netto nei confronti di ogni tipo di fondamentalismo». Sono parole chiare che dimostrano come molte organizzazioni musulmane sono consapevoli dei rischi di infiltrazione e del pericolo che dietro le moschee si svolgano attività di altro genere, anche di tipo criminale. Lo Stato, però, ha anche un altro diritto-dovere, che consiste nel garantire la libertà di culto per tutti quei musulmani che vivono e agiscono in Italia nel rispetto della legge, e si impegnano nella assimilazione dei nostri principi costituzionali, nel rispetto dei diritti umani e dell'identità religiosa e culturale italiana. Forse è il momento di guardare in faccia una realtà poco conosciuta. Nel nostro Paese nascono un po' dovunque piccole moschee, o luoghi di culto, senza che siano rispettate le norme essenziali per la loro destinazione religiosa, e si sappia nulla di come vengono scelti gli Imam, che spesso non parlano l'italiano e non hanno i requisiti minimi per svolgere la loro funzione. A questa situazione, di carenza di strutture e di disordine, si cerca ogni tanto di sopperire con progetti faraonici per la costruzione di moschee di inusitate dimensioni, senza sapere chi le dirigerà, come saranno gestite, quanti fedeli vi entreranno per pregare. Anche questi progetti sono da criticare perché non sono diretti ad assicurare l'esercizio del culto ma rischiano di creare centri e strutture facilmente utilizzabili per altri scopi. Così facendo si aggiunge errore ad errore, disordine a disordine. Per tale ragione, la vicenda di questi giorni di alcuni musulmani arrestati con gravissime accuse può essere l'occasione per riflettere seriamente su ciò che può essere fatto per favorire una vera integrazione delle comunità islamiche nel nostro Paese, senza ledere i diritti di libertà e senza concedere spazio a persone od organizzazioni che agiscono nell'ambiguità, che utilizzano l'elemento religioso con intenti e finalità di altro genere. È bene che quando si progetta una moschea si pongano due condizioni essenziali. Che sia concepita e realizzata in proporzione alle esigenze reali del culto, senza sfarzi, orpelli, dimensioni che nascondono altre ambizioni, di prestigio od uso improprio. E che venga gestita da persone effettivamente rappresentative che rispettino pienamente i principi costituzionali e i diritti della persona. Oltre a queste regole, che si potrebbero definire di buon senso, è necessario che il Ministero dell'Interno affronti una questione che non può più essere rinviata, e che riguarda la regolarizzazione della presenza musulmana nel nostro Paese, incontrando e sostenendo quelle organizzazioni che vogliono inserire l'Islam nell'alveo delle nostre leggi, con mezzi e metodi limpidi e trasparenti, che hanno dichiarato di voler contrastare altre organizzazioni che "prospettano una concezione dell'Islam contraria ai diritti umani e alla libertà religiosa", e sono a rischio di inquinamento. Lo Stato deve saper cogliere l'importanza di questa opportunità, perché l'errore più grave che si può compiere è di lasciare le comunità islamiche in un limbo di incertezza e di disconoscimento, nel quale può accadere di tutto. È interesse generale che le istituzioni si impegnino per regolarizzare la presenza musulmana perché moschee e centri culturali agiscano alla luce del sole, con autodisciplina e autocontrollo indispensabili per ogni aggregazione comunitaria. Insieme alla esigenze di sicurezza, è necessario realizzare un disegno più ampio e lungimirante, senza il quale la questione islamica resterà una mina vagante in Italia, come avviene in altre parti d'Europa perché caratterizzata solo da incertezza e disordine.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: