mercoledì 13 dicembre 2023
La lettura controcorrente del fenomeno. Città invasa da visitatori, eppure è terzultima nella classifica di vivibilità in Italia
In piazza del Municipio a Napoli i turisti in fila al terminal del bus Citysightseeing attendono il loro turno per la visita

In piazza del Municipio a Napoli i turisti in fila al terminal del bus Citysightseeing attendono il loro turno per la visita - Ansa

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I turisti Napoli non sa più dove metterli. Alberghi pieni, l’inarrestabile esplosione di B&B e di case-affitto allestite al momento, camere, ostelli, parcheggi attrezzati per sacchi a pelo: il turismo, ormai, non è più una “voce”, ma piuttosto un grido che annuncia e canta, una volta tanto, vittoria. Il “tutto esaurito” è un cartello affisso in tutti gli angoli di una città che sembra aver trovato il tesoro nascosto sulla via di un riscatto prossimo venturo. Dal ponte dell’Immacolata a Natale, nei Quartieri del decumano, il centro storico più esteso d’Europa, anche i pedoni dovranno rispettare il doppio senso di marcia. Un fiume in piena di visitatori provenienti da mezzo mondo, che nella strada dei presepi, a San Gregorio Armeno, si incroceranno anche con una popolazione locale non disposta a cedere il passo, almeno nelle feste, di fronte alla sfilata dell’arte antica dei presepi e degli addobbi natalizi.

Quasi un mezzo prodigio: Napoli scoperta da un turismo e quasi all’improvviso, come se il tempo avesse tenuto nascoste le sue tante risorse: le strepitose bellezze naturali e, a seguire, uno spettacolare patrimonio d’arte disseminato tra musei, gallerie, edifici storici, nonché di culto, perché è difficile non considerare le chiese di Napoli, come un capitolo a sé nelle grandi risorse della città. Parente stretta, sulla via del sacro, è poi la Cappella del Sanseverino, con la scultura del Cristo velato, l’imperdibile monumento scoperto sull’onda del passaparola degli innumerevoli oh! oh! di meraviglia. Napoli, finalmente, milionaria, e il turismo carta, finalmente vincente?

Più che altrove, a Napoli anche la realtà va maneggiata con cura. Qui il paradosso è sempre dietro l’angolo, e può prendere di mira anche un aspetto all’apparenza inattaccabile come, appunto, quello del turismo che bacia in fronte la città. Due elementi aprono il fronte degli interrogativi: i dati dell’annuale Rapporto Svimez sul Mezzogiorno, una puntuale radiografia sullo stato di salute di una parte importante del Paese, e la classifica, pure questa annuale, dell’indice di vivibilità delle città italiane. Subito il responso su Napoli, numero 105 in classifica. Solo a Foggia e a Caltanissetta si vive peggio.

I suoi paradossi Napoli non li tiene, tuttavia, per sé poiché in larga parte l’area metropolitana rappresenta una sintesi attendibile di tutto il Mezzogiorno. Non a caso i parametri con il segno meno del rapporto Svimez trovano conferma nella lunga lista dei capoluoghi meridionali con la “maglia nera” del buon vivere quotidiano. E la contraddizione di un lavoro che aumenta e che, in tutte e due le aree, non riesce a incidere sui redditi creando anzi nuove povertà, rende ancora più omogenei i profili di un territorio che rappresenta la metà del Paese. Territori omogenei ma ognuno per sé e tuttora in cammino per vie separate, forse non più con il pregiudizio antico di Nord e Sud separati come l’olio e l’aceto (“si potrà scuoterli e amalgamarli al momento- si raccontava ma subito dopo infallibilmente si separano”), tuttavia sempre proiettati su obiettivi propri.

Senza i fondi del Pnrr, stanziati al 60 per cento, il Mezzogiorno sarebbe addirittura in recessione. Ma anche dall’area metropolitana di Napoli, come da tutto il sud continua l’esodo dei giovani, in gran parte laureati, e dalle aree interne del meridione l’abbandono e lo svuotamento dei “paesi dell’osso”, i piccoli centri a ridosso dell’Appennino che, come negozi senza più clientela abbassano tristemente le loro saracinesche. E nel conto occorre mettere i timori, primo fra tutti il progetto dell’autonomia differenziata contro il quale i vescovi del Mezzogiorno non hanno nascosto la loro avversione. Alle loro perplessità ha dato man forte il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi che non aveva lasciato soli i suoi confratelli del meridione anche nella forte denuncia per lo spopolamento delle aree interne.

In termini sociali è l’ambito classico della vecchia “Questione meridionale” per la quale, un padre storico del meridionalismo, Giustino Fortunato, non esitò a rilanciare il monito di Mazzini durante il Risorgimento: «L’Italia sarà ciò che il Mezzogiorno sarà». Da sempre il turismo è stata individuata come una delle leve per risollevare le deficitarie economie dell’area; e in realtà anche le cifre più aggiornate parlano di un potenziale ancora largamente inespresso, tenendo conto che il numero di presenze turistiche in tutto il Mezzogiorno è meno della metà del dato medio delle regioni centrosettentrionali.

Complessivamente, le regioni meridionali assorbono solo il venti per cento delle presenze turistiche in Italia, e neppure l’incremento delle presenze straniere, dal 13,3 per cento del 2008 al 15 nell’anno pre-Covid, è riuscito a colmare l’evidente divario. Fuori dalla pandemia i dati segnalano una forte ripresa, seppure anche qui il livello sia ancora inferiore al tempo precrisi. Eppure, si è indubitatamente di fronte a una vocazione naturale, considerate le risorse in campo, fino a mettere da parte scrupoli paesaggistici e la salvaguardia di un ambiente depredato proprio in nome delle bellezze paesaggistiche.

Non dissimile è il grafico dei dati su Napoli. Con un’avvertenza sostanziale. È da qualche anno, subito dopo la pandemia, che Napoli, al turismo, si è consegnata quasi anima e corpo. E tanto più stride, allora, questa folla di ammiratori che letteralmente prende d’assalto le sue bellezze con il contrappasso di una città che, graduatoria alla mano, offre poco, anzi fa vivere male i suoi abitanti. Sennonché il turismo che va controtendenza non è solo una contraddizione. Indica la tipologia di un movimento che soprattutto per Napoli città non può essere valutato solo in termini statistici. Non si tratta, infatti, solo di un’ondata.

Dopo le sofferenze e la stasi del Covid, il turismo si è insediato, anzi ha di fatto “occupato” la città, staccando certo il biglietto d’ingresso, ma pretendendo anche diritti non dovuti. Quelli d’immagine per cominciare, tanto che Napoli via via si è trasformata in uno scenario sempre più artificiale, una grande “vetrina” con in mostra la merce di sempre, ma sistemata con la cura di chi da qual negozio attende grandi profitti. Grigia e malmessa nei giorni ordinari, quasi invivibile per la sua gente, il turismo ha portato in dono per Napoli l’abito della festa. Una città dai due volti? Non due, ma, come cantava Pino Daniele, “Napul’ è mill culur”: mille e forse più, eppure unica perché anche sotto l’assedio di visitatori che vanno ora a scovarla come un oggetto misterioso, la città riesce a restare sé stessa.

Di turismo si vive, ma si può anche un po’ morire quando un luogo si converte totalmente al mercato e mette all’incanto finanche la propria storia. Napoli, come tutto il Mezzogiorno, ha corso e continua a correre un tale pericolo perché si usa proprio il turismo non come opportunità, pur utile e vantaggiosa, ma come la manna improvvisamente caduta dal cielo a decretare una volta per tutta il riscatto di un territorio. Per Napoli è stato come se a un tratto alle bellezze della città si fosse tolto l’embargo perché occorreva, alla fine, il loro apporto per far quadrare conti che non tornano. La realtà è dura, ma l’immagine può sempre attutirla. Il punto è proprio questo: è l’immagine ora il vero investimento al quale, per il tramite di un turismo spesso “mordi e fuggi” Napoli si è votata, lasciando in piedi e irrisolte le sue contraddizioni. Una delle quali continua a essere sotto gli occhi di tutti, la Napoli travisata e tradita, lasciata in balia di un'immagine accattivante e distorta, fondata, come estremo paradosso, su un fascino indubitabile ma utilizzato a un ribasso quasi umiliante.

È difficile non vedere come l'immagine posticcia di questa Napoli ritrovata sia stata elevata a sostanza. Si è dato vita all’ennesimo “Rinascimento napoletano”, uno slogan ormai sciupato, in parte costruito sul fragile impianto di scorci della città disseminati come spot promozionali in una serie di fiction e docufilm allestiti uno dopo l’altro. Questi riflettori puntati su Napoli possono certo aiutare la città, farla conoscere, promuoverla; e il grande interesse degli audiovisivi presenta occasioni, se d'autore, da non trascurare. Ma c’ è in giro molta paccottiglia, e anche i fenomeni di violenza finiscono per avere spazio, se non consensi, in un immaginario che pretende di rappresentare la cosiddetta “città verace”.

La realtà è che la città fa solo da sfondo senza mai occupare il centro della scena, vittima ancora dei suoi cliché e di una nuova ondata di luoghi comuni. Ieri l’innocente cartolina con il pino e il Vesuvio sullo sfondo, la chitarra e il mandolino, oggi l’inesauribile caleidoscopio d’immagini che solo Napoli può produrre. Qui, dove il colore, in tutti i sensi, prende spesso la scena, la vita è un palcoscenico, ma solo per finzione. Napoli, pur con tutti i suoi mali, vale infinitamente più di un “pacchetto turistico”. Accanto alle cifre, quando si parla di turismo, occorre tener presente, per Napoli e il Meridione, un quadro d’insieme difficile da mettere a fuoco. Ma ancora più difficile da ignorare. Troppi passi falsi hanno rallentato un cammino giunto ora al suo punto di svolta. E senza più alibi da mettere in campo.


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