Lunga e profonda è la crepa aperta
martedì 27 giugno 2023

Ieri è stata la giornata in cui, al Cremlino e dintorni, tutti han fatto finta di essere sani. Vladimir Putin si è concesso un’apparizione pubblica. Il ministro della Difesa Shoigu si è mostrato mentre ispezionava una delle unità avanzate dell’esercito. Nemmeno il reprobo Evgenij Prigozhin si è sottratto alla scena, fornendo ai giornali proprio le dichiarazioni che ci si aspetta da uno che ha tentato di marciare su Mosca: non ce l’ho con Putin, volevo solo (solo?) salvare la Russia, offrirò 50 milioni di rubli alle famiglie dei piloti dell’elicottero abbattuto dai miei uomini.

Eppure tutti sanno di essere molto meno sani dell’alba del 23 giugno, quando il Gruppo Wagner ha lanciato la sua cavalcata a partire da Rostov sul Don, centro nevralgico della retrovia russa per la campagna in Ucraina. Avremo modo di scoprire in che misura ciascuno dei protagonisti sia meno sano di pochi giorni fa. Ci vuol tempo, perché la stessa impresa di Prigozhin è misteriosa, non si sa come definirla. Colpo di Stato no, perché nessuno ha reagito al suo appello.

D’altra parte, se foste un oligarca coi beni bloccati in Europa, vi affidereste a un Prigozhin per portare la Russia su posizioni di dialogo? Se foste un governatore, scommettereste il posto sulla sua sensibilità politica? Se foste un soldato, o peggio un generale, seguireste colui che per mesi ha spiegato che la guerra la stava vincendo lui da solo? Una rivolta, allora? No, troppo poco, i Wagner sono un’armata, non un gruppo di fanatici. Rivoluzione? No, perché a parte i selfie e qualche applauso, Prigozhin e i suoi hanno raccolto poco presso il russo medio. Quindi che cosa voleva colui che fu definito con sprezzo “il cuoco di Putin”, salvo poi scoprire che gestiva la fabbrica degli hacker e guidava il più potente esercito mercenario al mondo?

Era davvero, il suo, solo un grido di dolore per attirare l’attenzione di Putin sulle storture della guerra in Ucraina? Tanti pensieri per Putin, che ora si starà guardando intorno per capire quando è lunga e profonda la crepa che si è aperta nel sistema di potere di cui il Gruppo Wagner, titolare di tante missioni spietate e delicate anche in Ucraina ma in molti Paesi dell’Africa, era tassello non da poco. Chi altri potrebbe essere tentato dalla ribellione? Se lo ha fatto Prigozhin, che di Putin era amico fin dai tempi di San Pietroburgo, chi altri potrebbe tramare nell’ombra? Le milizie private abbondano in Russia, presso i colossi del gas, del petrolio e della finanza, o agli ordini di ras locali come il leader ceceno Kadyrov.

Bisognerà tenerle d’occhio, anche perché il rancore di Prigozhin era generato anche dalla legge, voluta dal ministro della Difesa Shoigu e controfirmata da Putin, che impone alle milizie di firmare un “contratto” con l’esercito regolare. Il Battaglione Akhmat di Kadyrov ha accettato le redini del Cremlino ma chi altri, dopo Prigozhin, potrebbe rifiutare? E poi Putin si starà chiedendo: davvero il mio ex cuoco ha osato tutto questo da solo o c’era qualcuno, in questi corridoi, che magari aspettava di vederlo arrivare a Mosca per muoversi contro di me? O che all’ultimo momento si è tirato indietro? Non ci sarebbe da stupirsi se qualche testa illustre dovesse rotolare lungo gli scaloni del Cremlino.

Anche il futuro di Prigozhin è un mistero. In Bielorussia a fare il paria, se va bene il pensionato di lusso? O alla corte di Lukashenko per diventare l’istruttore delle squadre “anti-terrorismo” che devono soffocare l’opposizione politica o le infiltrazioni dall’Ucraina? È chiaro, lui dovrà sparire. Ma nessuno, nella politica russa, vuole bruciare il Gruppo Wagner, tanto che ai suoi soldati è già stato promesso il perdono. Vedremo anche quale sorte toccherà al ministro della Difesa Shoigu, per Prigozhin un giorno un inetto e quello dopo un traditore. Putin lo ha coperto finora, anche approvando la legge di cui si diceva. Ma il ministro, un marpione che girava già ai tempi di Boris Eltsin, ha gestito malissimo il contrasto con il Gruppo Wagner e non pare troppo amato dai generali.

E se fra qualche mese, spenti i riflettori, scoprisse di sentirsi stanco e scrivesse una lettera di dimissioni? A proposito: a trattare (invano) con Prigozhin erano andati il vice-ministro alla Difesa e il vice-capo di stato maggiore, segno di indubbio rispetto. E nessuno ha sparato contro i Wagner (anche se Prigozhin parla di vittime). Una scelta dettata dall’alto, per non rischiare la guerra civile, o presa sul campo, tra uomini che da tempo combattono fianco a fianco? Per paradosso, l’unica consolazione per Putin è venuta dall’Occidente e dalla raffica di dichiarazioni tipo “è un affare interno alla Russia” che volevano dire: noi non c’entriamo. Come dire che nessuno vuole davvero la disgregazione della Russia e che tra Putin al Cremlino e un arsenale nucleare gestito da ignoti...

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