sabato 23 aprile 2022
La Comunità del Carbone e dell’Acciaio è stata la chiave per l’avvio in Europa di un percorso virtuoso. Dalle ceneri di questa guerra può nascere una Comunità delle fonti rinnovabili
La pace si costruisce evitando la concentrazione del potere e delle risorse strategiche nelle mani di pochi. Ma anche promuovendo l’arte delle relazioni, il paradigma dell’economia civile

La pace si costruisce evitando la concentrazione del potere e delle risorse strategiche nelle mani di pochi. Ma anche promuovendo l’arte delle relazioni, il paradigma dell’economia civile

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Irina e Albina, le due amiche, una russa ed una ucraina, sono state il segno più bello e il gesto più alto di civiltà nei giorni della Pasqua in un momento in cui l’invasione dell’Ucraina ha riprecipitato l’Europa in un conflitto bellico scoperchiando gli abissi dell’umano. Non è stato un gesto politico o diplomatico ma un grido di pace e il fatto che molti non l’abbiano capito ci fa comprendere come la guerra, oltre a portare lutti e distruzioni, ci degradi lentamente. La guerra non è solo il fallimento del cuore e dei valori ma anche della razionalità. Ed è un gigantesco paradosso che ormai diamo per scontato e finiamo per non accorgerci. Se si facesse un “referendum sulla guerra” probabilmente neanche l’1% dei cittadini la voterebbe (anche sapendo ciò che comporta in termini di rischi e costi personali). Eppure, la follia (di un uomo, di pochi uomini, di una piccolissima élite?) tiene in scacco due popoli e con il fiato sospeso un intero pianeta.


I fattori strutturali che possono ridurre il pericolo di conflitti tra Stati.

È per questo motivo che dobbiamo tornare a riflettere e ad impegnarci su qualcosa che davamo ormai per acquisito, almeno nel nostro continente. Siamo abituati in economia e nelle scienze sociali a valutare le nostre prospettive considerando diversi fattori di rischio (rischio finanziario, rischio povertà, ecc.) che rendono presenti problemi e minacce che al momento non sono visibili. Allo stesso modo per aiutarci a capire è utile definire le caratteristiche di un vero e proprio indicatore di rischio bellico o rischio di conflitto. Il primo fattore critico è la concentrazione di potere nelle mani di pochi o di pochissimi. Non è purtroppo infrequente che una persona possa decidere di attuare comportamenti distruttivi per la collettività. Il problema è quando ha il potere di comandare eserciti o lanciare ordigni nucleari e in un sistema politico non esistono pesi e contrappesi in grado di “disattivarlo” nel momento in cui perde l’equilibrio. Una vera democrazia con equilibrio di poteri è dunque un primo fondamentale antidoto contro questo fattore di rischio.

Un secondo fattore critico è la concentrazione di risorse strategiche nelle mani di pochi. Ci stiamo accorgendo in queste settimane quanto il potere di controllo sulle fonti di energia rinforzi azione e potere contrattuale di Putin e quando sia difficile per noi passare dalle parole ai fatti quando annunciamo di voler fare a meno del suo gas. Nessuno può minacciare il mondo asserragliandosi attorno ad un pannello fotovoltaico o ad una pala eolica mentre può farlo minacciando di chiudere il rubinetto del gas o comportandosi in modo sconsiderato attorno ad una centrale nucleare. Muovere verso un mondo dove la produzione di energia è diffusa, condivisa e partecipata (come nel modello della produzione da fonti rinnovabili attraverso comunità energetiche) è dunque una strategia essenziale per ridurre questo fattore di rischio bellico prima ancora che la via migliore per ridurre i problemi di salute ed emergenza climatica derivanti dalla gestione delle fonti di energia.


Abbiamo la responsabilità di mettere in pratica scelte e politiche
capaci di renderci concretamente operatori e costruttori di pace

Se ci pensiamo bene è proprio alla condivisione di risorse strategiche (che fa nascere alla fine del secondo dopoguerra la Ceca, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) che dobbiamo l’avvio di un percorso virtuoso tutt’altro che scontato che ha di fatto portato ai minimi termini il rischio bellico in Europa occidentale tra paesi che solo pochi anni prima e per secoli si erano combattuti sanguinosamente. Questo significa che ogni ulteriore condivisione di risorse (pensiamo agli eurobond, al Pnrr e alla maggiore capacità di fare squadra successiva alla pandemia) ci allontana ancor più da questo rischio. E che l’estensione dell’Unione Europea ai paesi dell’Est Europa e il percorso avviato dall’Ucraina è un altro passo nella direzione giusta pur con tutti i suoi limiti e difficoltà. Tornando al tema strategico dell’energia, se dalle ceneri della Seconda guerra mondiale la Comunità del Carbone e dell’Acciaio è stata la chiave per la costruzione di un percorso di cui dobbiamo essere orgogliosi, dalle ceneri di questa guerra può e deve nascere una comunità distribuita, diffusa e partecipata delle fonti rinnovabili che ci farebbe fare un passo avanti su uno dei fattori critici fondamentali per prevenire conflitti e costruire la pace. Una comunità delle rinnovabili vuol dire in concreto una rete elettrica dell’alta tensione potenziata ed internazionale che ottimizzi gli scambi di energia tra paesi membri riducendo i rischi d’intermittenza di ogni singolo paese.

Infine (terzo fattore) è fondamentale considerare che il rischio bellico si riduce ogni giorno a livello micro attraverso l’arte delle relazioni che il paradigma dell’economia civile insegna essere fondamentale per la fertilità sociale ed economica. Attraverso meccanismi di scambio di doni che innescano gratitudine, reciprocità, qualità delle relazioni, fiducia e capitale sociale si costruiscono le fondamenta di società solidali che disinnescano rischi di conflitto e rischi bellici. Questi meccanismi virtuosi consentono di mettere in atto il principio dell’“uno assieme ad uno” che fa tre o è comunque maggiore di due. Principio opposto all’“uno contro uno” che distrugge valore sociale ed economico ed è sempre minore di due. A differenza della cooperazione il conflitto assorbe energie e distrugge comunque valore, anche quando è di bassa intensità e non distrugge le città con i bombardamenti. Tutti i processi di partecipazione e di cittadinanza attiva (dal consumo e risparmio responsabile, alla gestione dei beni comuni condivisa, ai processi di co-programmazione e co-progettazione, allo sviluppo delle comunità energetiche sui territori) sono preziosi e fondamentali da questo punto di vista.

La lezione di questa tragedia è che non possiamo trascurare il rischio bellico e dobbiamo porre in atto scelte e politiche che ci rendano concretamente operatori e costruttori di pace. Un’alleanza militare come la Nato è deterrente necessario e strumento di difesa da rischi bellici che arrivano dall’esterno, ma non costruisce di per sé la pace né riduce il rischio bellico esterno o i pericoli di forze centripete interne. Sono i sistemi democratici con pesi e contrappesi, l’allargamento e il rafforzamento di unioni di stati come l’Unione Europea, la condivisione di risorse strategiche, l’arte delle relazioni capace di costruire percorsi di partecipazione e cittadinanza attiva sui territori che riducono ai minimi termini i rischi bellici che costruiscono le fondamenta della pace.


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