Le vite intrecciate dei Caschi blu di Dio
mercoledì 24 marzo 2021

Oggi siamo chiamati a fare memoria dei missionari martiri, una giornata di preghiera e digiuno promossa dal Servizio giovani della fondazione Missio, organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana. Il 24 marzo è infatti l’anniversario dell’assassinio dell’arcivescovo di San Salvador, sant’Oscar Arnulfo Romero, assassinato nel 1980 mentre celebrava la Santa Messa. Martire del regime militare di cui denunciò le violenze, fu un autentico testimone del Vangelo, affermando i valori della pace e della giustizia. Per la ventinovesima edizione di questa Giornata di preghiera e digiuno è stato scelto lo slogan « Vite intrecciate », nella consapevolezza che i missionari e le missionarie martiri sono tessitori di fraternità, proprio come lo fu monsignor Romero, paladino dei poveri. Un indirizzo che trova la sua evidenza nella recente enciclica di papa Francesco Fratelli tutti.

La vita dei missionari, infatti, si interseca con quella dei popoli che sono stati chiamati a servire per vocazione. Lungi da ogni retorica, mai come oggi è necessario evangelizzare una società globalizzata, provata non solo dal Covid-19 e da una crisi economica senza precedenti nella storia moderna, ma anche profondamente segnata dalle diseguaglianze e da una deriva antropologica, per certi versi, molto più inquietante del famigerato virus per le sue immediate ripercussioni sulla dignità della persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio. La Martyria, da questo punto di vista, rappresenta davvero l’antidoto contro gli oscuri presagi del nostro tempo.

Chi è infatti il martire se non il tessitore di una nuova umanità pronto a dare tutto incondizionatamente? E sono storie davvero avvincenti quelle dei nostri missionari e missionarie caduti sul campo del mondo, che toccano il cuore perché riescono ancora oggi a ricomporre il legame tra il Vangelo e la vita vissuta. Stiamo parlando di persone in carne e ossa, la cui identità non si è mai fondata sul disprezzo e sulla prevaricazione nei confronti del prossimo, ma sulla talvolta scomoda e comunque radicale conformazione a Cristo. Viene, naturalmente, spontaneo chiedersi come mai, per poter conoscere qualche frammento dell’attualità africana o delle periferie del mondo più in generale, si debba necessariamente attendere che qualcosa di doloroso e violento debba investire l’esistenza di queste donne e di questi uomini vocati a Dio e ai fratelli e sorelle in umanità. La domanda forse andrebbe rivolta a certi artefici del giornalismo nostrano i quali, forse per disattenzione o negligenza, dimenticano che il diritto di cittadinanza nel 'villaggio globale' esige una conoscenza dell’alterità, indipendentemente dalla collocazione geografica di questo o quel popolo.

Ecco che allora il modo migliore e più efficace per rendere il giusto tributo a questi caschi blu di Dio, di cui oggi forse solo gli stretti parenti e amici a ricordano ancora i nomi, sta proprio nel 'dare voce a chi non ha voce', alla gente che hanno servito con grande abnegazione. La loro testimonianza pertanto non solo rappresenta una forte provocazione, ma dovrebbe davvero indurci a un deciso cambiamento di rotta. A pensarci bene, ci salveremo da un futuro pervaso da peccaminosi egoismi e fondamentalismi solo se sapremo metterci alla loro scuola, quella della gratuità, dell’accoglienza nei confronti dei poveri, di coloro che patiscono l’esclusione nei bassifondi della Storia. Una visione spirituale dell’esistenza umana non sempre condivisa nella nostra società dove l’interesse particolare prende troppe volte il sopravvento sul bene comune dei popoli, ignorando l’universalità dell’amore missionario, davvero senza confini.

Naturalmente il ricordo dei missionari martiri non si esaurisce nell’orazione e nel digiuno, ma esige da parte di tutti gesti concreti di condivisione con chi offre e soffre in terre lontane la stessa vita di Cristo e per ricordarci che la forza dell’annuncio viene proprio dalla dedizione piena di gioia, ma aperta alla sofferenza e al sacrificio di molte persone. A tutti gli ammalati e i sofferenti, inoltre, è rivolto l’invito a unire e offrire il proprio dolore in memoria dei missionari e missionarie martiri di ieri e di oggi perché la comunione sia sempre più forte e universale.

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