giovedì 7 novembre 2013
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Adeguandosi al principio secondo il quale l’uomo non crederà mai all’improbabile, ma può facilmente credere all’impossibile (Oscar Wilde), nei giorni scorsi Pechino ha ufficialmente chiesto di ospitare l’edizione 2022 delle Olimpiadi invernali. Nulla di particolarmente strano, se non fosse che la capitale della Cina sorge su una vasta pianura a ben 45 metri d’altitudine sul mare. E che a Pechino in inverno fa spesso molto freddo, ma nevica quasi niente. Circostanza quest’ultima (la neve) quasi indispensabile per praticare gli sport invernali. Il “quasi” è d’obbligo, perché nulla ormai in tutto ciò che ci circonda è più reale del virtuale. La neve, volendo, si fabbrica. E le montagne intorno a una finta pista da sci – magari seminandole per tempo – prima o poi riusciranno a farle spuntare comunque. Oppure, come nel caso della Cina, l’Olimpiade la si può impacchettare e caricare su un bel treno ad alta velocità – con 160 chilometri di linea ferroviaria costruita in un amen, come hanno già promesso i pechinesi – per riaprirla in appena mezz’ora dalla capitale, a Zhangjiakou. Località impronunciabile, ma montagnosa abbastanza da giustificarsi come sede reale dei Giochi invernali virtuali. Che non sarebbero comunque i primi. Per verificarlo basterà aspettare il prossimo febbraio, quando le Olimpiadi invernali 2014 verranno ospitate da Sochi, ridente località russa celebre (si fa per dire) per il suo clima mite. Situata ovviamente non in montagna, ma sul Mar Nero. Che sarà pure freddino, ma sempre mare è. Al punto da non aver mai visto altri sci che quelli nautici. Anche qui nessuno si è scandalizzato, e neppure più di tanto stupìto. L’assoluta dislessia geo-logistica è ormai prassi nello sport di vertice, già capace di assegnare al Qatar i Mondiali di calcio (sempre del 2022, l’anno in cui forse i pinguini si daranno appuntamento all’Equatore). In questo caso molto del “merito” si deve a Sepp Blatter, faraone incontrastato del pallone e presidente della Fifa, tutt’altro che intimorita all’idea di vendere il torneo più importante del pianeta ad un Paese tanto ricco quanto calcisticamente inesistente. Molti mesi dopo averlo assegnato, ora Blatter ha finalmente scoperto che in Qatar d’estate fa caldo. Che strano. Troppo caldo (45-50 gradi) per giocare a calcio, a prescindere dall’orario delle partite, vero crimine sportivo anche dei Mondiali ’94 dove in campo a Los Angeles si andava a mezzogiorno sotto il sole a picco. Meglio scoprirlo 9 anni prima che mai, ma il problema della Coppa del Mondo 2022 rimane. Al punto che per tentare di rimediare ora esiste la possibilità, che nel gergo calcistico equivale alla probabilità, di disputare la manifestazione in inverno, a febbraio. Stravolgendo così il calendario dei singoli campionati nazionali, e in piena rotta di collisione con gli stessi Giochi olimpici invernali di pianura cinese. La realtà è che Paesi arabi, Cina, Russia e altre nazioni fra l’emergente e l’emerso stanno comprando tutto il nostro vecchio mondo perennemente in vendita. E che lo sport non può certo fare eccezione, con tutto il suo corollario di nuovi luoghi comuni: gli affari sono affari anche se non nevica, il denaro non ha odore e quello del Qatar al massimo sa di sabbia. E soprattutto non ci sono più le mezze stagioni, probabilmente perché se le sono comprate i russi.
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