Invalidi dimenticati
mercoledì 17 gennaio 2018

Tra le mirabolanti promesse di tagli di imposte e aumenti di spesa che si rincorrono in questo avvio di campagna elettorale, ne manca una. Una delle poche che sarebbe davvero opportuno avanzare: l’aumento dell’assegno di invalidità, fermo ad appena 282 euro al mese.

Finora, infatti, nessun partito politico ha lanciato un tweet o uno slogan in questa direzione, e neppure un leader ha volto lo sguardo alla categoria dei disabili, una delle più deboli della nostra società. Debole perché malata o limitata nelle sue possibilità, spesso discriminata nella vita sociale, sicuramente trascurata nella rappresentanza politica, vittime anche di coloro che invalidi non sono, ma tali si fingono. Persino chi ha lanciato l’idea di raddoppiare da 500 a 1.000 euro le pensioni minime, comprendendo nel novero dei beneficiari anche «le nostre mamme che hanno lavorato tutti i giorni a casa e che devono poter avere la possibilità di trascorrere una vecchiaia serena e dignitosa», non ha fatto cenno alcuno all’assegno di invalidità. Tutela prevista dalla Costituzione per chi è inabile al lavoro, ma che attualmente rimane ben al di sotto tanto delle pensioni minime (501 euro al mese), quanto dell’assegno sociale, la misura destinata agli ultra 66enni senza mezzi sufficienti (453 euro al mese).

Per comprendere l’esiguità di un tale trattamento basta ricordare che la soglia di povertà assoluta – calcolata dall’Istat sulla base dell’acquisto di un paniere di beni e servizi considerati essenziali – varia per una persona sola da 552 euro in un piccolo paese del Sud a 819 euro in una grande città del Nord. Come a dire che un invalido per vivere in maniera appena dignitosa a Milano o a Torino avrebbe necessità di un assegno almeno triplo rispetto al livello attuale. E non vale l’argomento che molti degli invalidi ricevono pure la cosiddetta "Indennità di accompagnamento", 516 euro per dodici mensilità l’anno. Perché questa – riservata agli inabili al 100% incapaci di deambulare o di «compiere gli atti quotidiani della vita» – è necessaria per pagare (almeno parzialmente) l’assistenza di una persona dedicata o, più spesso, "indennizzare" dei mancati guadagni un familiare che sacrifica la propria vita lavorativa per dedicarsi all’assistenza del disabile.

La perequazione auspicabile avrebbe ovviamente un costo. I titolari di assegno di invalidità sono infatti poco meno di 3 milioni di persone tra minori disabili, persone con capacità ridotta tra il 75 e il 99% e persone inabili al 100%. Portare l’assegno mensile da 280 almeno a 453 euro, il livello dell’assegno sociale, costerebbe circa 6 miliardi e 600 milioni di euro. Allineare le provvidenze al livello delle pensioni minime, invece, fino a 8,5 miliardi. Certamente non poco, però neppure una cifra impossibile o irragionevole, se si considera che il bonus da 80 euro per i lavoratori dipendenti costa 10 miliardi euro l’anno. E che solo per non farlo mancare agli statali a cui veniva rinnovato il contratto – rischiando così di superare le soglie di reddito – il governo ha subito messo a bilancio altri 200 milioni. Perché, come accade spesso con i conti pubblici, più che una questione di risorse da trovare si tratta di una questione di scelte e di priorità. Ognuno ha le proprie ed evidentemente per molti – sindacati compresi – lavoratori e pensionati vengono molto prima di invalidi e disabili.

Così nessuna forza politica – di sinistra o di destra, sovranista o popolare, populista o europeista – osa proporre un aumento di questa tutela, perché la categoria dei disabili, oltre ad avere poca "voce", sconta un pregiudizio negativo: quello dei cosiddetti "falsi invalidi". L’abbiamo accennato: è vero, ne esistono. Una politica incapace di dare risposte concrete al dramma della povertà, in particolare al Sud, in passato ha favorito la concessione di indennità anche a chi non ne aveva pieno diritto.

E oggi abbiamo 'falsi invalidi' così come ci sono 'falsi braccianti' che truffano l’Inps e 'falsi disoccupati' che lucrano l’indennità pur lavorando in nero. Eppure nessuno si sogna di gettare la croce su un’intera categoria di lavoratori né si pensa, per questo, di bloccare qualsiasi miglioramento della loro condizione. Per sanare le anomalie ci sono i controlli (già rigorosi, peraltro). Ma per sanare le iniquità serve la politica.

Occorre il coraggio di andare oltre gli slogan e accorgersi dei reali bisogni di tante famiglie, del dramma di chi, invalido e senza poter lavorare, è costretto a sopravvivere con 282 euro al mese, meno di 10 euro al giorno. Forse se qualche politico – leader o aspirante tale – ci provasse per un mese, capirebbe. E, tra una promessa mirabolante e l’altra, tra un tweet e un post, potrebbe inserire un’operazione di equità nel proprio programma.

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