In queste classi di 30-40 anni dopo ritrovarsi uniti per la vaccinazione
mercoledì 12 maggio 2021

In ventiquattr’ore mezzo milione di lombardi tra i 50 e i 60 anni ha prenotato il vaccino. La classe 1961 e quelle immediatamente seguenti, classi numerose degli anni del boom demografico, rispondono all’appello, con altri appena un po’ più giovani, e si preparano a presentarsi negli hub ormai rodati, macchine in grado di vaccinare migliaia e migliaia di persone al giorno. C’è chi, fra i cittadini appena più anziani, è stato convocato nei locali antichi di un ospedale per la maternità, ormai purtroppo poco utilizzato. C’è chi andrà al Palazzo delle Scintille, e anche fra milanesi doc ci si interroga: Palazzo delle Scintille? E cos’è? È il vecchio Padiglione 3 della Fiera, quello davanti al quale la domenica i tram scaricavano genitori e bambini eccitati: si andava, come a ogni primavera, alla Campionaria. Era metà aprile, il primo tepore, la prima volta senza cappotto, e ci si perdeva contenti nei padiglioni colmi di merci di ogni tipo, nella rigogliosa, apparentemente infinita produttività degli anni 60 del Novecento. (Nel 1970 fra due milioni di articoli esposti alla Fiera c’era addirittura un frammento di Luna). Erano, quei bambini sciamanti in cerca di una spilla, di una biro in regalo, la stessa generazione convocata oggi nell’hub dell’ex Padiglione 3, che sembra un’astronave. Forse alcuni si sono guardati attorno straniti, ripensando a quelle Fiere gremite, sudate, spensierate: nel medesimo luogo in cui ora ci si incolonna muti e grati, la mascherina incollata sulla bocca.

Le classi 50 e 60 all’appello, come alla leva, o al primo giorno delle elementari. E alla Fiera o alla Bicocca o a Niguarda, eccoci. Non si va per ordine alfabetico, non rispondiamo 'presente': siamo un numero – questione di privacy. Comunque, ci ritroviamo: i sessantenni con gli stessi capelli grigi, gli stessi chili in più. Non vecchi ancora, ma irrimediabilmente non più giovani. In coda, a volte, sotto la pioggia, oppure seduti in ordinate sale d’attesa, ci sogguardiamo fra noi, ci riconosciamo. Siamo quelli dello Zecchino d’oro e di Calimero, e quelli che avevano in camera il poster di Pierino Prati o di Bonimba, siamo le bambine ammaliate da Mary Poppins. Con discrezione ci spiamo, nell’attesa: simili le rughe, simili le mani un po’ sciupate di tante signore con la fede al dito. A volte le accompagna fino allo sportello una figlia, e allora vedi quello stesso volto com’era, trent’anni fa: e come spesso la fatica, o la delusione, abbia piegato gli angoli delle labbra carnose di un tempo all’ingiù. Ci sono, fra le più giovani, signore ancora piacenti, truccate, tirate, eleganti – combattenti la dura battaglia del restare giovani per sempre.

Ci sono quelli con la 24 ore e lo smartphone che suona di continuo, e l’aria infastidita di chi ha un sacco di cose da fare. Ci sono quelli che non hanno più alcuna premura, eppure non ne sembrano lieti. In queste classi di trenta o quaranta anni dopo, all’appello, siamo in fila e uguali davanti un nemico nuovo, mai pensato. Tutti insieme: quelli che gridavano nei cortei e i celerini che li fronteggiavano, quelli con le Mani Pulite e quelli che prendevano tangenti, quelli della Milano da bere e chi sgobbava in nero. Eccoci qui, ragazzi, verrebbe da dire mentre aspetti, ci raccontiamo com’è andata? Ma nessuno negli hub ha voglia di parlare (cosa che, tra l’altro, aiuta a diffondere il virus: meglio restare a bocca chiusa). A me, nella fila davanti pare di riconoscere una compagna di scuola. Credo proprio sia lei, ma quando la guardo negli occhi lei non mi riconosce, troppo sono cambiata anche io. Mai avremmo immaginato, noi ragazzi dell’Italia del benessere, noi che avevamo tutto, noi ribelli finti o veri, di dover metterci disciplinatamente in fila insieme per non rischiare di morire. Il 'nemico' erano i comunisti, o i democristiani, o i fascisti, o i professori, ma mai avremmo pensato di essere qui, nell’anno 2021, a chiedere aiuto contro un nemico comune e invisibile. E nessuno slogan adesso, nessun corteo gremito, stretti gli uni con gli altri: soltanto, all’uscita, si preme il dispenser che sa di alcol, e ci si pulisce con cura le mani. Poi si va, soli, veloci, zitti – badando a non stare, nei corridoi, agli altri troppo vicini.

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