Un percorso aperto, garantista e dirompente
mercoledì 14 dicembre 2022

Un programma ambizioso e persino rivoluzionario, ma propositi difficili da realizzare Caro direttore, il programma della giustizia penale illustrato dal ministro Carlo Nordio è suonato rivoluzionario e le reazioni, a volte scomposte, che ha suscitato ne sono la conferma. Rivoluzionario non tanto per i concetti che sono stati illustrati – non è certo la prima volta che sentiamo parlare di abuso della custodia cautelare in carcere, uso distorto delle intercettazioni e separazione della carriere – quanto per chi li ha esposti (un ministro della Giustizia che per decenni ha ricoperto il ruolo di pubblico ministero) e per come lo ha fatto (essendosi detto disposto a «battersi sino alle dimissioni» per raggiungere l’obiettivo).

Il filo conduttore delle linee programmatiche del ministro ruota intorno alla (ri)affermazione della presunzione di innocenza, vulnerata – ha correttamente fatto notare Nordio – da una pluralità di fattori, non ultimo quello di una «giustizia mediatica» che finisce con il presentare all’opinione pubblica indagati e imputati già come colpevoli, non solo prima che la loro responsabilità penale sia stata provata in via definitiva ma, molto spesso, senza che il processo sia iniziato.

Tra i temi che hanno suscitato le maggiori polemiche vi è quello delle intercettazioni, sul quale il ministro ha evidenziato un duplice problema: un loro eccessivo utilizzo (con conseguenti costi elevati e ingiustificate intromissioni nella vita privata dei cittadini) e una loro incontrollata diffusione, anche pilotata, che da strumento di ricerca della prova le ha trasformate in una vera e propria arma di delegittimazione (a volte anche politica). Le più dure polemiche hanno riguardato il primo aspetto, essendosi letta (o meglio, essendosi voluta leggere) nelle dichiarazioni del Ministro una generale mozione di sfiducia verso l’istituto delle intercettazioni, come se chi ha esercitato per così tanti anni le funzioni di pm potesse davvero credere che le stesse siano un inutile strumento al quale si possa agevolmente rinunciare. Le cose non stanno in questi termini, essendosi Nordio limitato a preannunciare la direzione dei suoi interventi, mettendo in luce un tema che oggettivamente esiste e sul quale non si può far finta di nulla.

È noto a chiunque frequenti le aule di giustizia che un’intercettazione, dopo essere stata presentata come schiacciante, possa poi rivelarsi errata (perché trascritta male) o diversamente interpretabile, essendo il contraddittorio – e non le prime pagine dei giornali – il luogo deputato alla formazione della prova. Così come gli addetti ai lavori sanno bene quanto sia potenzialmente facile aggirare i limiti imposti dalla legge in tema di intercettazioni, semplicemente contestando un reato più grave di quello che emerge dagli atti; situazioni in cui – ed è la Corte di Cassazione a dirlo – occorre «prevenire abusi da parte dell’organo requirente, che potrebbe preordinatamente servirsi di una qualificazione giuridica insostenibile al solo scopo di giustificare l’inizio delle captazioni». Insomma, il problema di un ricorso smodato alle intercettazioni esiste ed è giusto discuterne, senza che ciò possa, in questa fase, essere letto come volontà di ridurre drasticamente la possibilità di servirsi di tale utile strumento.

E, del resto, dal ministro non è ancora pervenuta alcuna proposta di legge o testo su cui si possa aprire un dibattito, ma solo l’individuazione di un percorso, nel quale tutte le forze politiche (e non solo) avranno modo di dire la loro. Le critiche piovute addosso a Nordio – accusato addirittura di favorire indirettamente mafiosi e corrotti – sono, dunque, non solo ingenerose, ma quantomeno premature, a meno di non voler sottoporre a critica l’idea stessa che uno strumento dalle potenzialità intrusive così marcate non debba essere usato con maggior cautela e moderazione. Strettamente connessa è l’altra distorsione evidenziata dal ministro, consistente nella (ormai costante) diffusione sulla stampa di stralci e virgolettati delle conversazioni intercettate. Il richiamo di Nordio è espressione di un’idea garantista e liberale della giustizia penale certamente da apprezzare, non essendo tollerabile che, come puntualmente accade in occasioni di vicende giudiziarie di particolare interesse, il diritto alla presunzione di non colpevolezza venga sacrificato in nome di quello che, solo apparentemente, è diritto di cronaca.

L’ultimo esempio è dato dall’inchiesta della Procura di Torino nei confronti dei dirigenti della Juventus, con riferimento alla quale ciascuno di noi ha potuto leggere i dettagli delle conversazioni intercettate – molte delle quali con soggetti non indagati e prive di rilevanza penale – in spregio al diritto alla riservatezza e alla presunzione di non colpevolezza dei soggetti coinvolti. Altro delicato punto toccato dal ministro è quello della cosiddetta carcerazione preventiva, su cui, nell’ottica di invocare una maggior ponderatezza nelle decisioni sulla libertà personale degli indagati, si è proposto di attribuire tale funzione non più a un unico giudice, ma a un collegio. Le critiche indirizzate al ministro fanno finta di ignorare un problema – qual è quello dell’abuso della custodia cautelare – su cui, nonostante l’esito del recente referendum, molte delle principali forze politiche erano concordi (stando, quantomeno, alle dichiarazioni rese prima delle ultime elezioni).

I propositi del ministro Nordio – ambiziosi e dagli effetti potenzialmente dirompenti – non saranno facili da realizzare e finiranno inevitabilmente per diventare il metro di giudizio sulla base del quale verrà valutato il suo operato. Vedremo, nei prossimi mesi, se il programma sarà davvero realizzabile o se, al contrario, sarà destinato a rimanere il testo di una ipotetica lettera che ogni garantista (molto ottimista) vorrebbe scrivere a Babbo Natale.

Avvocato, direttore della rivista “Giurisprudenza Penale”

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