Il capodoglio implasticato
giovedì 22 novembre 2018

La notizia del Capodoglio implasticato sta facendo il giro del mondo. Come le foto del suo ultimo pasto: 115 bicchieri monouso, 25 sacchetti di plastica, infradito, una manciata di bottigliette, resti di corda di nylon e altri materiali sintetici... Il povero fisetere è stato trovato lunedì sulla costa di Kapota Island, a Sulawesi, in Indonesia: spiaggiato per un’infezione addominale. Se ne fa un gran parlare, eppure, diciamoci la verità, questa morte non è una gran notizia. Sono decenni che la plastica invade suolo e oceani, piuttosto che l’aria, sotto forma di diossina, allorquando la si brucia. Certo, fa impressione pensare a un bestione siffatto morire tra spasmi atroci, atterrito per un dolore sconosciuto ai progenitori, scampati agli arpioni dei balenieri per più di tre secoli. Tuttavia, questa è la legge di tutte le specie. Parliamo di selezione naturale, mica di bubbole; di Darwin, dei dinosauri e della tigre di Giava, del pesce grande che mangia il pesce piccolo, sempre che quest’ultimo non sia un pericolosissimo Nemo, appunto, in plastica.

Urge un bagno di realismo. Bisogna prendere atto che non si può salvare il mondo, che la temperatura continuerà a salire perché non è lecito imporre a nessuno di limitare lo sfruttamento delle risorse naturali, che sono di tutti e quindi tutti possono sfruttarle. Smettiamola di scandalizzarci per l’inquinamento: le polveri sottili le respirano anche i padroni del vapore (tossico) e ciò che viene descritto come predazione altro non è che una battaglia per la crescita. È necessario produrre per sfamare il popolo e far girare i mercati, chi non regge il ritmo va licenziato o pensionato, senza guardare per il sottile. Non possiamo assistere tutti. Anche perché non vi è logica economica nel salvare i poveri che annegano nelle nostre società liquide o che s’illudono di attraversare il mare su un gommone: la partita doppia li condanna, mica i governi... Se siete arrivati a leggere fin qui la tirata precedente e non avete provato neanche un lieve senso di inquietudine, cercate subito un buon psicologo: siete talmente chiusi in voi stessi che non riuscite più a guardare oltre il vostro ombelico. Già, l’ombelico: mentre lo guardate, pregate che non sia quello di Moby Dick.

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