martedì 26 giugno 2012
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​L’Europa è cresciuta per crisi successive. Una costante, dagli albori della costruzione comunitaria sino ai tempi di un’Unione a ventisette troppo grande per essere vera e di un’Eurozona costruita attorno a una moneta comune troppo tedesca per essere di tutti. Proprio per questo, stavolta, è difficile immaginare che la crisi sarà dura e faticosa, eppure infine tutto sommato utile, come le altre. Stavolta, abbiamo la sensazione di stare tra i passeggeri di un treno che corre come impazzito, su binari ben piantati, con una ottima prima classe e via via più scalcagnate carrozze di seconda e di terza, e nessuno che si preoccupi di mettersi alla guida, di far azionare gli scambi e di regolare a dovere la velocità. Il treno corre, e in fondo al binario c’è un muro che sembra una montagna. Se ci finirà contro, non si salverà alcun vagone. Neanche quelli dei "ricchi". E la rigidità dei binari sarà servita solo ad accompagnare il disastro finale. L’intero convoglio deraglierà e andrà in pezzi. E le conseguenze toccheranno tutti coloro che sono a bordo, e l’intera rete.Traduciamo. In crisi l’euro. In crisi la Ue, con ricadute sui nostri partner-competitori d’America e d’Asia. In crisi, manco a dirlo, l’Italia. Quest’Italia che riesce a malapena a trovare un «preambolo» comune alle tre diverse mozioni politiche di sostegno e sprone al governo di Mario Monti verso l’eurovertice di giovedì e venerdì prossimi. Quest’Italia che rischia di ritrovarsi in campagna elettorale nel pieno di una tempesta perfetta. E se così fosse, se la «chance Monti» venisse gettata al vento, se qualcuno tra i sostenitori del governo di buona volontà o, in diverso modo, ognuno dei tre coltivasse piccole e grandi ambizioni personali e di parte dimostrando in modo persino drammatico di non tenere al primo posto l’interesse del Paese, sarebbe forse l’ultimo rovinoso passaggio del collasso di una stagione politica. Vedremo e sapremo presto.È una crisi davvero senza precedenti, per gravità e per malagestione, quella che ha per epicentro l’Europa. Ed essere pessimisti viene naturale. Conforta però, almeno un po’, constatare che tra i cattolici italiani, in questi giorni d’attesa e di disillusione, torna a essere corale, aperto e limpido l’impegno all’edificazione degli Stati Uniti d’Europa. E dovrebbe dar da riflettere a tanti – anche ai distratti e ai precipitosi – che proprio ora questo accada, ora che più arduo è anche solo il pensarlo un cantiere degli Stati Uniti d’Europa. Ma altro da fare non c’è, se non si vuole rimanere inchiodati sul percorso segnato da binari inutilmente rigidi e se non si è rassegnati a farsi blindare su un treno condotto da una guida automatica, elementare e persino rovinosamente "stupida".Questo i cattolici italiani sono tornati a capire, a progettare e a dire ad alta voce. La stessa voce che i credenti – fianco a fianco con tutti coloro che condividono la stessa visione positivamente laica – devono saper ritrovare senza «debolezza» per affermare e testimoniare ciò che non può essere taciuto e non deve essere omesso in un tempo di calcolate afonie, di autoassoluzioni e di autopromozioni, di pretesi bavagli e di intimazioni a non disturbare il manovratore. Non si può, proprio ora, proprio qui, rinunciare a fare dell’etica della vita il fondamento di un’esigente etica sociale. E a nutrire di questa visione e di questa energia buona – il segretario generale della Cei, proprio ieri, facendo ancora una volta eco alla chiamata del Papa è tornato con efficacia sul punto – una presenza nuova, convinta e diversa per stile e contenuti sulla scena pubblica. Una presenza coerente, integra e intera, propria di chi non si rassegna alla negazione della rilevanza civile della fede cristiana e della razionalità della difesa di un sistema di valori morali forti, propria di chi non si consegna alla logica perversa delle pubbliche virtù e dei vizi privati e di chi non s’imbranca nelle torme corrotte dei traditori (per presunzione, evasione, razzia e demolizione) del bene comune. Qui, in casa nostra, e nella più grande casa nostra che è la Ue.Lavorare per l’intero, non per moltiplicare i pezzi. È un buon programma per il tempo che ci tocca. Questo tempo in cui l’Europa rischia di rompersi e di smarrirsi e l’Italia, in molti sensi e in molti giochi, di immiserirsi.
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