Gas, messaggini, missili e un popolo in ostaggio
giovedì 12 aprile 2018

Donald Trump ha un dito su Twitter e uno sul grilletto. Il presidente americano manda annunci d’attacco via web, mentre riduce la diplomazia internazionale al livello basico di 280 caratteri (spesso molti meno) per singolo messaggio rivolto ai suoi 'nemici'. Dire che tutto questo è allarmante, quando i missili verso la Siria potrebbero essere già in volo, risulta certo riduttivo. Ma ormai non si può che fare i conti con un nuovo scenario di politica di potenza, in cui gli attori sono molti e ciascuno, nella commedia che spesso diventa tragedia, recita più ruoli. La Siria è carne e sangue dei civili innocenti oppressi e uccisi con ogni mezzo (non ultimo il gas, chiunque l’abbia davvero usato), non una scacchiera sulla quale muovere le proprie pedine o lanciare i propri ordigni. Eppure, questo è quello che succede. E non è facile sbrogliare la matassa di questa fin troppo sbandierata ed ennesima escalation militare.

La stessa Casa Bianca che voleva smobilitare dal Paese mediorientale ora sembra intenzionata a tornare parte attiva del conflitto, con un’opinione pubblica interna che è schierata a parti inverse. L’elettorato di Trump, infatti, quello dell’«America First », non ne vuole sapere di 'morire per Damasco' (e nemmeno di spendere); a volere la cacciata di Assad sono semmai gli 'internazionalisti', fieri avversari del comandante in capo repubblicano. Quest’ultimo però, alla disinvoltura delle minacce di guerra ha unito, con una politica di rimozione e sostituzione dei consiglieri, una squadra di super-falchi, interventisti e inclini all’uso della forza per risolvere le controversie. Quale possa essere il risultato di un paio di notti di bombardamenti non è per nulla chiaro. Il regime siriano è sopravvissuto finora e si è andato rafforzando negli ultimi anni grazie al decisivo sostegno russo e iraniano. Non sarà la perdita di qualche base – dalla quale peraltro avrà avuto il tempo di spostare uomini e mezzi – a indebolirlo. Solo un severo ammonimento perché la comunità mondiale non tollera l’uso di armi chimiche?

È probabile che il rais di Damasco non si faccia intimidire proprio ora che Mosca lo spalleggia apertamente. D’altra parte, il dispositivo bellico americano in zona è ancora relativamente limitato e non sembra suggerire un attacco lungo e massiccio. I maligni sostengono che il presidente ha bisogno di un diversivo per distogliere l’attenzione dai suoi guai interni, magari licenziare il superprocuratore del Russiagate Mueller mentre cadono ordigni sulla Siria e Mosca mette in atto una pur blanda risposta. Ma al di là della fantapolitica (che a volte tuttavia diventa realtà), l’interesse primario sembra rivolto a scalfire il blocco russo-iraniano che sta aumentando la sua presa sulla regione, in contrasto con gli interessi di Israele e del suo nuovo, improbabile 'alleato' saudita, il cui primo obiettivo è bloccare ogni mira espansionista di Teheran. La sfida a Putin, con cui Trump ha rapporti ondivaghi come le sue politiche, potrebbe comunque rimanere limitata, consentendo a Mosca di fare la faccia feroce, senza fare precipitare la tensione. Nel frattempo, la Casa Bianca sembra avere trovato l’appoggio più o meno convinto di Francia e Gran Bretagna le quali, altrettanto paradossalmente, potrebbero mandare navi e aerei contro postazioni in cui sono dislocate anche forze iraniane proprio nelle settimane in cui cercano di scongiurare che gli Usa facciano saltare l’accordo sul nucleare con gli ayatollah, cui l’Europa ancora crede.

E nella Ue che in ordine sparso va a rimorchio oppure improvvisa azioni senza futuro, manca la voce dell’Italia politica, impegnata legittimamente a cercare di formare un governo, ma afona sui temi internazionali che si svolgono alle nostre porte, forieri di conseguenze con cui dovremo fare tutti i conti, in primis nuove migrazioni di profughi colpiti dalla guerra e risorgenze del terrorismo islamista. Con una Lega divisa tra simpatie putiniane e afflati trumpiani sovranisti e un Movimento 5 Stelle di tiepida tendenza atlantista si annuncia una difficile collocazione del nostro Paese di fronte a questa crisi. E si può persino immaginare una discontinuità nelle nostre scelte di alleanza. Starsene prudentemente fuori non è una soluzione, come dimostra l’unica diplomazia saggiamente attiva, quella della Chiesa, che con papa Francesco fa leva sull’autorità spirituale e la lungimiranza di chi ha cuore solo il bene dei popoli. Che la Siria possa trovare pace a breve in questo risiko impazzito è purtroppo difficile. Esercitarsi in esercizi più produttivi di tweet e grilletti dovrebbe essere il primo passo per tutti.

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