Contro il disagio non con risentimento
domenica 15 gennaio 2017

Punto di rottura. Sta male Gentiloni. Sul web c’è chi (pochi per fortuna) si augura la sua morte. Terribile. A Salerno distruggono le lapidi di Falcone e Borsellino, martiri innocenti della lotta alla mafia. A Roma sfregio alla targa di Matteotti, vittima del fascismo. Ma che cosa sta succedendo? Eravamo fermi alla monetine contro Bettino Craxi, davanti al Raphael a Roma, ai fischi contro le stanche liturgie della politica, ai rumors che stigmatizzano i messaggi, lontani sideralmente dalla realtà. L’Italia del rancore sta esplodendo? Certo il 39,5% di giovani senza lavoro né futuro è una ferita lacerante e insopportabile, poi ci sono i nonni che in molte famiglie italiane sono l’unica ancora di salvezza per i figli, la Caritas assediata da persone in difficoltà, il gelo che mette a nudo crude e davvero agghiaccianti verità, ma un tale livello di esasperazione nessuno di noi lo ricordava. C’è rancore crescente, c’è livore inarrestabile, c’è rabbia.

È un’Italia della rabbia che cresce ed esplode. Genitori con i figli plurilaureati in casa che non trovano lavoro; giovani cui offrono nei call center quattrocento euro al mese; figli tra i venticinque e i 35 anni che sopravvivono passando da un impiego precario all’altro, da contratti a chiamata ai voucher; donne e uomini rimasti per le ragioni più svariate fuori dai cancelli delle fabbriche e condannati a lavorare attraverso cooperative per 5-8 euro l’ora. Eccolo il Paese che ha il volto del 2017, ma gli stipendi di dieci anni fa. Certo, è un effetto nefasto della globalizzazione che a tutti (salvo ai grandi manager delle banche e ai boiardi di Stato) ha ridotto e dimezzato gli stipendi e mortificato la speranza. Certo è il risultato di una miopia dei politici del passato che ha lasciato una massa di garantiti (e super-garantiti) e una folla di persone con diritti ridotti e molto meno cielo nel quale lanciare i sogni. Certo, è la naturale conclusione di una politica che, in questi anni, ha salvato le banche, non le fabbriche, ha continuato a favorire i soliti noti e i grandi gruppi industriali sempre più multinazionali.

Nelle nostre periferie, da Torino a Milano, a Roma o Napoli si registra nella solitudine delle mattine d’inverno, l’esasperazione di una generazione dimenticata, del ceto medio disossato dalle difficoltà e spesso piegato dalla crisi, quella dei commercianti obbligati ad abbassare le saracinesche e a spegnere uno dopo l’altro, i presìdi sotto casa, presìdi di convivialità, di qualità di rapporti e di vita, di dignità umana. Nessuno se n’è accorto? Siamo persino all’intolleranza cieca e a testa bassa. Non è questa la strada.

Quella giusta sta nel Vangelo, nell’impegno, nei progetti, nella fantasia della misericordia, dell’accoglienza, della solidarietà. Basta rileggere la pagina stupenda delle Beatitudini: «Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la Terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio». Ricordo gli inverni gelidi dei nostri vecchi, che stentavano ogni giorno, ma recitavano il rosario e non auguravano la morte a nessuno. Ricordo la voglia di riscatto dei nonni, le lacrime di chi era obbligato a cercare lavoro e vita in Europa nelle miniere e in America. Ricordo i pezzi di pane portati, quasi di nascondo e con infinita discrezione, ai vicini in miseria. Ricordi d’un tempo andato? Certamente. Ma non i valori che li provocavano.

Quelli sono gli stessi, anche oggi. E quando vedo le parrocchie aprire gli oratori ai senza casa, le auto e le chiese di papa Francesco spalancare le porte in piazza San Pietro e a San Callisto ai senzatetto, le mense e i rifugi aumentare, tante persone lavorare a progetti per dare lavoro e dignità, penso che queste siano le vie giuste. Non certo gli insulti e tantomeno gli oltraggi.

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