Continua a volerci bene. Noi te ne vogliamo, Fabo
martedì 28 febbraio 2017

Fabo, innanzitutto grazie. Te lo dico perché credo che puoi sentirmi ancora. Grazie perché costringi tanti a riflettere su ciò che volentieri fingiamo di ignorare: la sofferenza umana, il suo peso, la sua grazia, il suo mistero. Come ogni essere umano, anche tu, fratello, sei unico, irripetibile, originale. Un altro Fabo non nascerà mai più. La vita è bella ma terribilmente fragile. Stupenda ma anche tanto faticosa. La battaglia per vivere la affrontiamo fin dal grembo materno. Siamo nati grazie alla misericordia dei nostri genitori ai quali mai smetteremo di dire grazie. È così. Chi crede può dire: Dio ha voluto così, avrebbe potuto fare diversamente, ma ha voluto così.

I limiti li affrontiamo fin dalla più tenera età. Anche oggi nella nostra bella Italia c’è gente che non ha pane da mangiare. E soffre. Ci sono bambini contesi tra un papà e una mamma che non si vogliono più bene, ma che loro sognano abbracciati, sotto lo stesso tetto. E si sentono dilaniati. Ciro, dodici anni, mi disse: «Mi sento un estraneo a casa di mia mamma che vive col suo compagno e il figlio che hanno avuto. Da mio padre è la stessa cosa. Io mi sento sempre a metà. Nessuna casa è casa mia…». Deve essere terribile sentirsi a metà. Fuori luogo dappertutto.

Lino si è lasciato distruggere dalla droga. Sua mamma ha lottato e sofferto, pregato e implorato, ma Lino non ha voluto, non ha saputo liberarsi dalle grinfie degli stupefacenti. Ormai è agli sgoccioli, gli restano solo pochi mesi di vita. Per quel figlio Mena si è consumata, è diventata l’ombra di se stessa. Si soffre nel corpo e nel cuore, nell’anima e nello spirito. Si soffre per un amore perduto; perché la camorra, la mafia, il terrorismo, un’economia disumana vorrebbero rubare i tuoi spazi, la tua libertà, i tuoi diritti. Per tuo figlio morto in un banale incidente.

Giuseppe, 20 anni, scivolò nel bagno di casa. Poche ore dopo moriva dissanguato in ospedale. I genitori sono ancora impietriti dal dolore. Chi può dire se soffre di più una ragazza tradita dal grande amore della sua vita o la sua amica affetta dall’anoressia?

Il dolore. Dobbiamo imparare a parlarne e scriverne con più pudore. Dobbiamo avvicinarci a chi soffre a piedi scalzi, come fece Mosè davanti al Roveto ardente. L’ammalato è terra sacra. Il disabile è terra sacra. Se ogni uomo è un mistero, l’uomo che soffre è un mistero avvolto nel più inaccessibile dei misteri. Fabo, fratello, stiamo soffrendo. Con te, per te. Il mondo senza di te è più povero. E noi ci ritroviamo senza fiato. Avverrà così per tutti, anche se non in modo meno traumatico. La nostra fragilità prenderà il sopravvento, e verrà la morte. Nella vita cambieranno tante cose, non il bisogno e la capacità di amare e di essere amati. Fino al momento supremo, e oltre.

Voglio dirti ancora un volta che tu sei stato e sei unico. E che la dignità umana non viene meno quando il corpo si ribella e smette di obbedirci. Questa è una menzogna. Al contrario, cresce a dismisura. La dignità non muore nemmeno con la morte. Ti hanno portato in Svizzera. A morire. La tua sofferenza e la tua morte ci riguardano.

Tu ci appartieni, Fabo. Appartieni e me come io appartengo a te. La tua storia merita rispetto. La tua vita merita rispetto. La tua malattia merita rispetto. La tua morte merita rispetto. E dolore. Perché non possiamo lavarci le mani a buon mercato davanti al mistero del dolore. Non possiamo volgere il nostro sguardo altrove. Non possiamo nasconderci dietro il paravento della 'buona morte'. Non una buona morte, ma una buona vita, una vita buona comunque, avresti meritato. Ti assicuro che abbiamo imparato la lezione, che non smettiamo di impararla. Abbiamo capito che le persone come te nell’agenda politica meritano il primo posto.

Proviamo vergogna per il denaro che spettava a voi per diritto e che invece abbiamo sprecato per cose superflue, o, addirittura, abbiamo permesso che fosse rubato da gente senza scrupolo. Ce ne vergogniamo mille volte e ti chiediamo scusa. Avrei voluto invocarti con le stesse parole che due discepoli rivolsero a Gesù sulla via di Emmaus: «Rimani con noi, perché si fa sera». Lo faccio ancora. Te ne sei andato, hai permesso a qualcuno di mandarti via, e le nostre sere saranno più lunghe. Ma «alla sera della vita ciò che conta è avere amato». Continua a volerci bene, Fabo. Noi te ne vogliamo.

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