Un cammino lungo e buono
domenica 10 febbraio 2019

Giovanni XXIII per primo apre un varco nella guerra fredda tra Urss e Usa, e stabilisce un rapporto diretto con Mosca, mentre Paolo VI attribuisce alla Chiesa cattolica un ruolo propulsore irreversibile. Nel 1965, con il discorso del Papa all’Assemblea generale, la Santa Sede offre una 'solenne ratifica' morale alle Nazioni Unite e chiede ai popoli e agli Stati di dedicare ogni energia alla pace, alla promozione dei diritti dei popoli, e di porre fine a colonialismo e imperialismo.

L’universalismo della Chiesa contribuisce a introdurre un nuovo lessico, si parla ormai di popoli, continenti, umanità, si esce dai concetti conflittuali di sempre. La diplomazia pontificia estende relazioni stabili con un numero crescente di Stati e con l’inserimento della Santa Sede, in qualità di membro effettivo o con osservatori permanenti, nella più gran parte degli organismi internazionali e sovranazionali, e gioca un ruolo equilibratore in tante direzioni e circostanze. Paolo VI inaugura l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, e apre un nuovo canale di relazioni mondiali, anche con l’attivazione delle rispettive Conferenze episcopali. Laddove prima non ci si parlava, si moltiplicano gli incontri con le grandi religioni del mondo, dove prima c’era silenzio, maturano incontri e collaborazioni per abbattere barriere di fede e ideologia.

Nei momenti di più grande crisi internazionale il Papa interviene per attenuare o superare conflitti. Dal primissimo intervento di Giovanni XIII nella 'crisi dei missili a Cuba' tra Usa e Urss, al continuo invito alla moderazione nel lungo conflitto del Vietnam, all’impegno diretto della Santa Sede nella formulazione della Carta di Helsinki, essa è tra gli artefici del compimento della distensione internazionale. Ancora, l’impegno di Giovanni Paolo II è decisivo per favorire l’unificazione d’Europa, la salvaguardia dei diritti delle minoranze nei territori della ex-Jugoslavia, mentre il più recente impegno di papa Francesco riesce ad impedire la deflagrazione bellica in Medio Oriente a causa della crisi siriana. Infine, sempre Francesco apre il dialogo con il 'continente cinese', per portare l’umanità a un punto di convergenza atteso da secoli.

Questo bagaglio di rinnovamento ha consentito alla Santa Sede di intuire in anticipo il senso, le difficoltà e le prospettive, del processo di globalizzazione, e di affrontare tra l’altro due grandi temi dello scenario mondiale, il fondamentalismo religioso e il fenomeno delle migrazioni che coinvolge ogni area geopolitica, e chiama in causa la coscienza e le scelte dei Paesi ricchi. Il fondamentalismo ha mille volti, anche se quello islamico più di altri sconvolge l’Occidente, e le comunità cristiane pagano il prezzo più alto per persecuzioni, attentati, divisioni politiche.

L’impegno della Chiesa è da tempo concentrato nel promuovere tutto quanto possibile perché le religioni divengano strumenti di pace, favoriscano la collaborazione reciproca. Ma papa Francesco è andato oltre, chiedendo a tutti gli uomini di buona volontà di eliminare le cause delle guerre, e di combattere ogni concezione di Dio in qualche modo associata alla violenza: chi accosta Dio alla violenza compie la più grande bestemmia perché viola la prima legge divina che è quella dell’amore per il prossimo. Infine, sulla scia del magistero di Paolo VI che con la Populorum Progressio aprì la Chiesa e spinse la comunità internazionale al rispetto dei diritti dei popoli, papa Francesco ha innestato il tema dell’immigrazione nella prospettiva evangelica togliendo alibi a quanti vogliono tornare indietro.

È di Benedetto XVI l’indicazione essenziale per la quale l’immigrazione deve essere regolata nel rispetto dei valori delle società che accoglie e ospita gli immigrati. Papa Francesco, nel ribadire questo indirizzo, ha proposto una riflessione volta a chiarire i rischi delle politiche di chi vuole chiudere la strada all’unificazione umana, all’universalità, riprendere il cammino a ritroso delle chiusure, delle divisioni, dei muri, del negare i diritti umani secondo l’etnia, l’appartenenza culturale o religiosa. Si completa così il ciclo più alto della dottrina sociale che indica uno spartiacque ineludibile, per respingere pulsioni distruttive, proseguire verso la ricomposizione solidale dei rapporti tra Stati e Nazioni. Anche per il perseguimento di queste finalità il metodo e la sostanza dei Patti Lateranensi sono stati uno strumento prezioso che ha mantenuto la spinta propulsiva originaria.

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