venerdì 24 maggio 2013
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Gentile direttore,
sono padre di un bimbo di quasi tre anni e di un altro in arrivo. Che il Signore li protegga sempre. Io e mia moglie siamo precari nel lavoro. Ma siamo uniti dal vincolo del matrimonio cristiano, che ha valore anche civile. Ci crediamo davvero, senza fanatismo, con sincera identità. Da ogni parte però riceviamo bordate. A Roma nostro figlio non ha avuto diritto all’asilo comunale o statale perché non è rientrato nei pochi posti disponibili. Così è stato al nido per un anno, con un costo di circa seimila euro. Nostro figlio non è stato preso, ma non perché – come si vuol far credere spesso – l’asilo «è pieno di extracomunitari, che hanno più diritti». No. Non è stato preso perché molti bimbi risultano figli di "ragazze madri" o genitore single, uno solo quindi che bada esclusivamente alla crescita e mantenimento del proprio figlio o dei propri figli. Nei fatti però in grande maggioranza non è così. Molte coppie lo sono "di fatto", non giuridicamente. Non uniscono redditi, non presentano insieme le domande, non figurano come abitanti sotto lo stesso tetto. E ne traggono pertanto vantaggi, anche nelle graduatorie. Io non discuto le scelte affettive, i legami delle persone. Ma è paradossale che si chiedano diritti per le coppie "di fatto", sia etero che omo, e dall’altra parte si usufruisca di una serie di vantaggi omettendo "di fatto" la verità. Da un lato quella verità la si vuole regolata per legge, dall’altro si approfitta del "vuoto normativo" per proprio tornaconto. Quindi, ho due domande: ma se venisse creato l’istituto delle "unioni di fatto", questi genitori "distratti" vi ricorrerebbero? O continuerebbero a vivere <+corsivo_bandiera>more uxorio<+tondo_bandiera>, ma facendo finta che i figli siano cresciuti e allevati solo da uno di loro? Beh, caro direttore, io e mia moglie siamo disposti a fare fino in fondo le nostre scelte. Il valore del nostro matrimonio non può essere barattato con migliori punteggi in graduatorie varie.
Altra bordata: a Bologna il referendum sull’abolizione del contributo alle scuole paritarie. Ecco, nostro figlio frequenta una scuola materna cattolica. Ieri ha fatto il saggio di fine anno. Bimbi di due-tre anni che cantavano, facevano esercizi ginnici a dir poco creativi, recitavano poesie, si sostenevano a vicenda e noi genitori, pubblico intenerito, fiero dei nostri figli, riconoscenti e grati per il lavoro appassionato delle maestre, in questo caso suore. Colleghi genitori i cui figli frequentano scuole statali o comunali mi dicono che di queste cose, lì, se ne fanno sempre meno e in ogni caso con sempre più generica identificazione in nome del "politicamente corretto" o di altre forme di "pacificazione non divisiva" come si dice adesso. Sorvolo su questo. Ma aggiungo: io precario, mia moglie precaria, preferiamo pagare anche quest’anno, e per chissà quanti anni ancora, circa tremila euro annuali per il sorriso di benessere e per l’educazione sana di nostro figlio, ma per favore nessuno ci venga a fare la morale sui "diritti". Un caro saluto.
Nicola Vicenti, Roma
Capisco bene. Capisco che le domande che mi rivolgete hanno già in sé la risposta. E capisco che sua moglie e lei, caro signor Vicenti, non ne possiate più della retorica bolsa e degli slogan ideologici che, come cortina di fumo, vengono usati per dissimulare una realtà nella quale chi "fa famiglia" – e lo è davvero – ha finito per ritrovarsi troppo spesso penalizzato e svantaggiato. Sì, vi capisco bene, anche per esperienza diretta. E penso che, mentre vi sobbarcate di sacrifici pieni di amore e di senso, abbiate ogni possibile ragione per essere indignati e un po’ stufi di certi esibiti "diritti" e dei troppi "doveri" anche furbescamente evitati. Non siete né ricchi né privilegiati, e proprio per questo vorreste essere semplicemente rispettati e sostenuti dallo Stato nella basilare libertà di educare vostro figlio. Rispettati e sostenuti nell’esercizio di una libertà delle famiglie che l’ordinamento della Repubblica riconosce sulla carta, ma alla quale la politica esita a dare contenuto e, quando lo dà, rischia addirittura di essere messa – come, ora, a Bologna – sul banco degli imputati. Rispettati e sostenuti nell’affermare il diritto a una libertà fondamentale della persona umana, scegliere i percorsi formativi per i propri figli, alla quale si muove continuamente guerra con piccole e grandi ingiustizie consolidate e con offensive politiche e mediatiche premeditate eppure niente affatto sensate. Sua moglie e lei, caro amico, avete visioni salde e condizioni lavorative precarie, pagate regolarmente le tasse e, dunque, contribuite attraverso la fiscalità generale a sostenere un sistema pubblico di istruzione nel quale sono integrate sia le scuole statali sia quelle comunali sia quelle (istituite da soggetti privati, senza che lo Stato abbia sostenuto oneri per questo) che vengono riconosciute paritarie: non è una pretesa, ma un diritto poter scegliere con responsabile libertà di genitori e di cittadini e non dover pagare pesantemente una seconda volta per la scuola prescelta... Quando ci decideremo a capire tutti, ma proprio tutti, che anche nel mondo della scuola (come in tutto il mondo del welfare) il futuro migliore e più umano, quello che vale la pena di costruire, è inevitabilmente sussidiario? Quando comprenderemo e cominceremo a riconoscere, senza paura e senza mistificazioni, che "pubblico" non è sinonimo di "statale"? Che c’è una dimensione "pubblica" che non è solo statale, ma è saldamente civile e comunitaria e che in essa anche oggi soprattutto oggi, come nelle stagioni più belle e costruttive della nostra lunga vicenda di popolo, possono e debbono tornare a convergere e ad armonizzarsi le forze vive della società? O sarà così, o torneremo a concepire e a vivere tale dimensione oppure anche il welfare e la scuola del futuro saranno insostenibili, cioè esili e desolatamente inadeguati. Altro che "diritti"... Questo non può accadere. E anch’io credo che i cattolici, fianco a fianco con tutti coloro che hanno a cuore il bene comune, abbiano il dovere di continuare a impegnarsi su questa frontiera. Auguri caldi, caro amico. E forza. 
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