giovedì 8 marzo 2018
Secondo uno studioso, al di sopra dei 20 gradi l'aumento improvviso di un solo grado riduce sensibilmente i raccolti. E provoca morti volontarie
Il problema della siccità continua a colpire gravemente la popolazione indiana (Ansa)

Il problema della siccità continua a colpire gravemente la popolazione indiana (Ansa)

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I cambiamenti climatici (veri e presunti) sono sotto i riflettori da tempo. E spesso il dibattito si svolge lontano dai dati scientifici, rimanendo a livello ideologico, con ecologisti allarmati e negazionisti pervicaci. Ecco perché è importante analizzare se i mutamenti ambientali hanno effetti reali. Un caso recente, e anche controverso, viene dal legame che esisterebbe tra aumento delle temperature e suicidi dei coltivatori. Le ipotesi proposte da Tamma A. Carleton, ricercatrice dell’Università della California a Berkeley, stanno infatti sollevando insieme grande interesse e acceso dibattito. Oggetto dello studio la situazione dell’India, Paese particolarmente vulnerabile per la consistenza della sua agricoltura e, all’interno di questa, di ampie aree di arretratezza e povertà. «Io mi occupo dell’India, teatro di un quinto dei suicidi del Pianeta, con un tasso che è raddoppiato dal 1980 – scrive Carleton –. Utilizzando i dati ufficiali disponibili per gli ultimi 47 anni ho potuto mostrare che la situazione è fortemente influenzata dalle fluttuazioni nelle condizioni climatiche, in particolare dalla temperatura. Al di sopra dei 20°, l’aumento improvviso di un solo grado provoca un picco quotidiano di suicidi nella stagione della maturazione dei raccolti, quando il calore è in grado di ridurre sensibilmente la produzione».

Nella mancanza di altre cause visibili e rapportabili a contingenze periodiche, prosegue la Carleton, «stimo che il riscaldamento globale nell’ultimo trentennio sia stato responsabile in India di 59.300 suicidi». Dati che mostrano su una scala significativa come il rapporto tra clima e reddito agricolo influisca sulla casistica dell’autolesionismo in un Paese guida tra quelli in via di sviluppo. Dati che sono parte di un articolo pubblicato il 15 agosto 2017 sulla prestigiosa Pnas ( Proceedings of the National Academy of Sciences), rivista dell’Accademia nazionale delle scienze statunitense, basato sull’analisi dei dati dell’Ufficio nazionale di statistica criminale per il periodo 1967-2013. Uscito in un tempo in cui casistiche di menomazioni permanenti e decessi auto-inflitti nelle immense campagne dell’Asia – assai meno note e studiate delle casistiche che riguardano realtà a alto reddito e sviluppo, come Corea del Sud e Giappone – hanno iniziato a suscitare più di qualche interrogativo. Significativo che lo studio abbia aggiunto i cambiamenti climatici a fattori determinanti – come difficoltà finanziarie, mancanza di sostegno efficace e perdita dei raccolti – che condizionano la vita dei contadini indiani che già vivono per il 22 per cento sotto la linea di povertà.

«Il suicidio è un indicatore evidente delle difficoltà umane, eppure le sue cause destano poco interesse negli studiosi, ancor più in realtà in via di sviluppo. Se qui io – prosegue la studiosa nella sua analisi – mostro risultati coerenti con le teorie più note del suicidio per ragioni economiche in India, quanto ho trovato ha anche implicazioni importanti per il futuro del clima». I ricercatori di Berkeley a cui si deve la sostanza del testo di Carleton hanno valutato i dati sui raccolti agricoli in tutti i 32 Stati e Territori in cui è divisa amministrativamente l’India. Inoltre, sono stati studiati i dati a livello distrettuale di 13 Stati riferiti a fattori connessi con i cambiamenti climatici. Si è così riscontrato che una flessione dei raccolti annuali dovuta a un incremento nella temperatura coincide con un maggior numero di suicidi. Evidenziando l’estrema sensibilità dell’agricoltura indiana, lo studio ha stabilito che un aumento di un grado soltanto durante la stagione cruciale ha visto 67 suicidi in più e un aumento di cinque gradi è stato affiancato da 335 decessi oltre la media.

Per contrasto, l’incremento di un centimetro di pioggia nella stagione della crescita ha portato a una caduta di circa il sette per cento nel tasso di suicidi. Centrale sembra essere quindi la disponibilità di acqua, con periodi di siccità che registrano picchi di suicidi mentre monsoni regolari e abbondanti migliorano considerevolmente la vita dei coltivatori nelle aree irrigue. «La temperatura durante la principale stagione agricola dell’India ha un effetto molto forte sul tasso di suicidi», conferma Carleton, dato che anticipa ulteriori difficoltà economiche e spinge a gesti estremi. L’Ufficio di statistica della polizia è sicuramente fonte imprescindibile, dato che negli ultimi due anni ha registrato una media di oltre 12mila casi all’anno di contadini o braccianti che hanno scelto la morte per sfuggire a indebitamento e bancarotta, ingerendo pesticidi o impiccandosi. Da sottolineare che il dato, al di là delle modalità di raccolta e di diffusione, manifesta la complessità di un problema che le autorità evidentemente faticano a gestire. Al suo interno, al momento valutabile nel 15 per cento del totale, esiste una casistica connessa al clima che chiama in causa questioni globali di cui l’India è insieme fautrice e vittima.

In diverse lettere sull’argomento pubblicato il 9 gennaio su Pnas, altri studiosi – Kamal K. Murari, T. Jayaraman, Madhura Swaminathan, Saudamini Das e Ian Plewis – in parte hanno integrato, in parte provato a confutare i dati e la tesi del precedente articolo. «Ci sono lacune nei dati e nelle tesi di Carleton – scrivono in buona sostanza –. I dati sui suicidi provengono da una istituzione della polizia di cui è assai nota la tendenza a registrazioni per difetto dei crimini». Per gli esperti, occorre anche una cautela maggiore nell’analisi dei rilevamenti. Se infatti il rapporto tra stress economico e suicidi in India è in sé controverso, a maggior ragione resta al momento sospesa la connessione diretta tra un clima che accresce la precarietà del reddito e la tragica fine di tanti individui. « Gli studi sulla variabilità del reddito che incentiva molti a togliersi la vita – ricordano ancora Murari, Jayaraman e Swaminathan – restano limitati e non identificano e sintetizzano un rapporto certo tra clima, raccolti e suicidi, basato su dati incontrovertibili e una molteplicità di fonti». Nella sua replica, Carleton ha sostenuto la bontà del suo lavoro, ma sicuramente la questione sarà al centro di un prolungato dibattito.

Resta però l’emergenza suicidi e non è un caso se recentemente New Delhi ha annunciato un programma di assicurazione per i raccolti del valore di 1,3 miliardi di dollari mirato proprio a prevenire una pratica sconvolgente. Non ci sono al momento ricadute sostanziali, mentre anche le autorità locali vanno sviluppando propri schemi di credito e di tutela, ma è un segno che il problema è stato riconosciuto. Le ricerche devono quindi proseguire. Ancor più davanti alla prospettiva di un ulteriore innalzamento della temperatura planetaria di almeno tre gradi entro il 2050. Questo chiama da subito e non nella sola India a incentivare credito rurale e assicurazione sui raccolti, a attuare strategie preventive, sia a livello di indirizzo politico, sia operativo locale.

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