mercoledì 2 marzo 2022
Una mutazione quasi antropologica, che da comico a presidente lo ha trasformato alla fine in un subcomandante zapatista in felpa verde-oliva, capace di usare con abilità i social media
L’intervento del presidente Volodymyr Zelensky all’Europarlamento

L’intervento del presidente Volodymyr Zelensky all’Europarlamento - Ansa / Afp

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«Ho bisogno di munizioni, non di un taxi». Il ritratto, meglio: la metamorfosi di Volodymyr Zelensky potrebbe già riassumersi in questa secca risposta all’offerta di Joe Biden di mettersi in salvo abbandonando l’Ucraina avvolta dalle spire della guerra. Fin troppo facile accostarlo a Salvador Allende nelle ultime ore fatali alla Moneda, braccato dagli squadroni della morte di Pinochet. Con la differenza che benché fosse un bersaglio obbligato per i russi, che dall’inizio dell’offensiva hanno cercato di colpirlo quando usciva dal bunker in cui si ricoverava nottetempo, di giorno lo si è visto un po’dovunque: sulla linea del fuoco, in mezzo ai volontari, fra i soldati dell’armata ucraina, in mezzo ai suoi generali.

Abbiamo parlato di metamorfosi. E di metamorfosi si tratta, considerando chi era e chi è adesso Zelensky. La gente lo ha conosciuto come Sluha Narodu, ovvero il «Servitore del popolo», perché così si intitolava la serie televisiva interpretata da questo attore, balzato agli onori della presidenza senza nessuna esperienza politica e amministrativa, visto che è così che questo comedian di origine ebraica e di lingua russa nel 2019 è salito al potere a quarantun anni sbaragliando il presidente uscente Petro Porošenko: un oligarca, per battere il quale Zelensky ha avuto anch’egli bisogno del sostegno di un altro oligarca, il banchiere amico e socio in affari Igor Kolomoisky, ex governatore dell’Oblast di Dnipropetrovsk (oggi Dnipro), fondatore e presidente della PrivatBank, un istituto messo sotto inchiesta dal Fondo Monetario Internazionale.

Quanto ai suoi esordi come presidente, all’inizio Zelensky ha lasciato dubbiosi i più: un po’ populista e un po’ troppo giacobino, promotore di una crociata contro le élites, contro la corruzione, contro le agenzie di rating internazionali e contro gli oligarchi che lo hanno preceduto e che tuttora popolano la mappa del potere nel Paese. Un Saint Just in miniatura dal vorace spirito moralizzatore.

Il che non gli ha impedito di appoggiare la legalizzazione dell’aborto e della cannabis terapeutica, la legalizzazione della prostituzione e del gioco d’azzardo. Non trascurando di dare maggior vigore alla marcia di avvicinamento alla Ue e alla Nato. Un crimine imperdonabile per la Russia, che in epoca sovietica all’Ucraina affidava lo sterminato granaio e parte dell’arsenale nucleare e che di fronte al pericolo di una transizione democratica vissuta come un supremo tradimento ha cominciato a smembrarne i pezzi più pregiati del vasto territorio, dalla Crimea al Donbass.

Faceva ridere e sorridere da Kiev a Mosca, da Kharkiv a San Pietroburgo lo Zelensky guitto e sagace che partecipava al «Ballando con le stelle» in versione ucraina e interpretava in tv un professore di liceo che veniva chiamato a sorpresa a guidare il Paese. Gli anni a venire diranno se vi sia stato un che di misteriosamente provvidenziale nella sua bizzarra ascesa al potere.

Anche perché il comico-presidente si è rivelato di insospettabile fibra virile, una sorta di antieroe che dalla risata di Aristofane si è calato senza sforzo nell’epos omerico, dal cabaret alle trincee del Donbass, dalla clownerie al sereno vaticinio consegnato via zoom all’ultimo vertice dell’Unione Europea il 25 febbraio scorso: «Forse è l’ultima volta che mi vedete vivo».

Una mutazione quasi antropologica – pur anche veicolata dalla predisposizione al travestimento scenico –, che da attor comico a presidente lo ha trasformato alla fine in un subcomandante zapatista in felpa verde-oliva, la barba malrasata e per contro un’inimmaginabile abilità nell’utilizzo dei social media e nella capacità di tessere relazioni internazionali passando ore concitate a contatto con Joe Biden, Macron, Draghi (con cui si è concesso un pepato battibecco), Erdogan, la pilatesca Europa che quasi fino all’ultimo lo ha lasciato solo.

Per ora, il «capo della banda di drogati e di nazisti» (così lo ha definito Putin e così lo dipinge la propaganda russa) è vivo e vegeto. «Non credete alle fake news – dice –: sono ancora qui".

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