sabato 12 dicembre 2009
Studiano virus senza cure. Ma manca un censimento.
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Da millenni l’uomo vive nel’incubo delle epidemie: in antico la peste e il colera, poi la sifilide, di recente l’Aids, il carbonchio, la Sars, la sindrome della mucca pazza, le febbri emorragiche, l’influenza aviaria, variante delle ondate influenzali che sbocciano ogni anno nelle porcilaie cinesi per espandersi in tutto il globo. Memorabile fu tra il 1918 e il 1919 la Spagnola che mieté 50 milioni di vittime. Un baluardo fondamentale contro i rischi derivanti dalle epidemie è costituito dai laboratori ad alta sicurezza in cui gli agenti patogeni vengono custoditi e sottoposti a ricerche e manipolazioni per trovare terapie e vaccini (proprio in uno di essi, nel 2005 è stato ricostruito – con grande allarme – il virus della Spagnola dal corpo congelato di una vittima trovato nei ghiacci dell’Alaska). L’Organizzazione mondiale della sanità distingue queste strutture mediante la sigla BSL seguita da un numero: così BSL-4 (biosafety-level-4) indica i laboratori biologici di massima sicurezza, gli unici autorizzati a trattare con microorganismi letali e contagiosi come i virus Ebola, Marburg e Lassa, per i quali non esiste alcuna cura efficace.Nell’ultimo decennio, in seguito alle preoccupazioni destate dagli attacchi terroristici del 2001 e dalla diffusione della Sars e dell’influenza aviaria, i BSL-4 si sono moltiplicati. Nell’Unione europea il loro numero è destinato a passare in breve tempo da 6 a 15 e negli Stati Uniti da 7 a 13 (mentre quelli di livello 3 sono passati da 415 a 1.362). Alcuni Paesi non hanno idee precise su quante strutture di quel tipo vi siano sul loro territorio e su che cosa facciano. Né esiste un ente che sovrintenda e coordini le ricerche, in particolare manca un inventario preciso di quale e quanto materiale biologico rischioso esista e dove si trovi (il censimento provvisorio che riportiamo nella cartina differisce infatti dai dati resi noti da altre fonti). La proliferazione incontrollata dei BSL-4 presenta anche incognite, come ha denunciato poche settimane un editoriale della rivista Nature, punto di riferimento della comunità scientifica mondiale. I pericoli riguardano possibili incidenti che vanno dai contagi accidentali del personale alle fughe di agenti infettivi, fino al rischio che malintenzionati possano mettere le mani sugli agenti patogeni per attacchi bio-terroristici. Inoltre, un ente di controllo potrebbe organizzare e gestire un utilissimo scambio di pratiche ed esperienze. Sembra tuttavia che si stia facendo qualche passo in questa direzione: l’Unione europea ha creato un’infrastruttura di ricerca sugli agenti altamente patogeni che dovrebbe coordinare la costruzione e l’esercizio dei BSL-4 (l’Erinha) e iniziative analoghe sono alle viste negli Usa.I rischi legati alla concentrazione nei presidi biologici di virus e batteri molto pericolosi vennero alla ribalta nel settembre 2008, quando l’uragano Ike si abbatté sul Texas. L’isola costiera di Galveston, situata in una zona colpita regolarmente dalle tempeste del Golfo del Messico, una settantina di chilometri a sudest di Houston, soffrì gravi danni da inondazione, ma un edificio recentissimo, destinato a ospitare un laboratorio di livello 4 per la difesa biologica, non subì alcun guasto. Mentre le autorità sostenevano che il complesso poteva resistere a venti di oltre 200 chilometri all’ora, alcuni ambientalisti manifestavano le loro preoccupazioni. In fondo Ike, per quanto distruttivo, non era stato un uragano molto forte. Il laboratorio nazionale di Galveston è stato inaugurato l’11 novembre 2008, senza che la popolazione opponesse resistenze, anche alla luce delle prospettive di occupazione aperte dalla struttura. Si tratta di uno dei due laboratori BSL-4 voluti dal governo Bush in seguito agli attentati dell’11 settembre. L’altro, situato a Boston, in una zona molto popolosa, ha invece sollevato critiche e proteste da parte degli esperti e dei cittadini, tanto che, completato nel 2008 dopo tre anni di lavori, non ha ancora ricevuto il nulla osta per l’avvio delle ricerche. Dopo che due valutazioni, compiute nel 2007 e nel 2008, non sono state considerate attendibili, ne è in corso una terza, che si dovrebbe concludere entro il 2010. L’estrema cautela che informa la valutazione nel caso di Boston è causata dalla resistenza della popolazione della zona, costituita per lo più da famiglie di neri di classe medio-bassa, che gli esperti, sbagliando, non pensavano potessero avere una forza sufficiente per organizzare la protesta. Il comitato incaricato di stilare le linee guida per la terza stima del rischio ha suggerito di procedere sulla scorta di alcune questioni fondamentali. Si tratta, in primo luogo, di descrivere gli scenari relativi a una fuga di svariati agenti patogeni e di analizzare le conseguenze più disastrose, anche se improbabili, di tali eventi. Il comitato ha quindi suggerito che si compia una valutazione probabilistica di tre categorie di eventi: errori nelle procedure di manipolazione sperimentale; guasti delle apparecchiature di contenimento biologico o di altri dispositivi cruciali; fughe dovute ad atti dolosi. Infine, si devono calcolare quali potrebbero essere le conseguenze di tali eventi e i modelli matematici su cui si baserà la stima dei rischi dovranno essere plausibili e trasparenti. E qualche preoccupazione suscita anche in Europa il tentativo che si sta compiendo all’Inserm di Lione per la fusione del virus dell’aviaria con quello dell’influenza A, allo scopo di cercare possibili antidoti. Un’azione preventiva che però potrebbe dare vita a un agente patogeno temibilissimo.
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