martedì 22 febbraio 2022
Sale la tensione nel Donbass, l'area già fiaccata da otto anni di conflitto. Primi civili tra le vittime, già 70mila in fuga, unico caso di profughi che corrono verso l'aggressore
Scontri e morti nelle regioni ribelli. L'esodo (orchestrato) degli sfollati
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A Ocheretynska e Mariinska, nella regione di Donetsk, la Caritas dell’Ucraina non ha mai smesso di portare aiuti alla popolazione del Donbass, fiaccata da otto anni di conflitto con 14mila morti. Solo chi non mette piede da quelle parti può parlare di guerra a bassa intensità.

Ma ieri anche gli operatori dell’organizzazione hanno dovuto lasciare la “linea di contatto”, mentre giungeva notizia di altri due civili uccisi. Nelle stesse ore Putin annunciava di voler riconoscere le Repubbliche separatiste, di fatto ufficializzando l’annessione alla “madre Russia”. Donetsk e Lugansk, i due territori filorussi, avevano proclamato l’indipendenza nel 2014, perpetuando il conflitto.

Un residente del villaggio di Stanytsia Luhanska, controllato dagli ucraini, denuncia bombardamenti da parte dei separatisti filo russi

Un residente del villaggio di Stanytsia Luhanska, controllato dagli ucraini, denuncia bombardamenti da parte dei separatisti filo russi - Ansa / Afp

 

L’équipe mobile della “Caritas Zaporizhzhia” per tutto questo tempo ha continuato a fornire assistenza. Soprattutto cibo per la popolazione degli insediamenti sul confine. Ma le manovre militari e i colpi sparati sull’area non hanno lasciato scelta. «Abbiamo team che regolarmente vanno nei luoghi di confine per portare aiuti umanitari ma giovedì sono dovuti tornare indietro», racconta Tetiana Stawnychy, direttrice di Caritas Ucraina: «Hanno comunque completato il lavoro ma a causa del peggioramento della situazione e dei combattimenti lungo la Contact line, abbiamo dovuto fermarci per una settimana».

Le parti si scambiano le accuse. Ma i 70mila cittadini del Donbass (secondo stime ufficiali russe) che in un fine settimana sono stati aiutati dalle forze di Mosca e dai gruppi armati filorussi a raggiungere l’area di Rostov, sono un caso unico di profughi che scappano tra le braccia dell’aggressore. La prova, semmai, della insanabile distanza da Kiev, abilmente sfruttata dalle interessate mosse del Cremlno.

Dei quasi 5 milioni di residenti nelle aree a forte presenza di russofoni, secondo Mosca già quasi un milione ha chiesto la cittadinanza russa. I leader delle due Repubbliche separatiste nell’Ucraina orientale avevano implorato Vladimir Putin di riconoscere la loro indipendenza e stabilire una «cooperazione di difesa». Sulla carta il controllo sulle regioni ribelli potrebbe saziare gli appetiti di Mosca.

Ma la partita del Cremlino è su larga scala. Svuotare i villaggi dalle presenze dei civili, ha anche un vantaggio tattico. Se l’intensità degli scontri dovesse crescere o la situazione precipitasse verso la definitiva invasione, i separatisti spalleggiati dai battaglioni moscoviti non avrebbero più il problema di dover schivare i residenti filo-russi, perché davanti si troverebbero solo “nemici”, senza sottilizzare tra chi indossa una divisa e chi no.

La fuga della popolazione verso Rostov, la città russa più vicina, appare perciò come un esodo orchestrato ed eseguito grazie a una flotta di autobus arrivati anche da molto lontano e con parecchi giorni di preavviso.

L’insofferenza per il governo di Kiev non riguarda solo i russofoni. Dalla caduta dell’Unione sovietica le disparità tra centro e periferia non sono state appianate. Ancora oggi se nella capitale il reddito medio mensile è di quasi 700 euro, nel Donbass non arriva a 300. Qui ieri due civili dell’autoproclamata Repubblica popolare di Lugansk sono morti e altri tre gravemente feriti a seguito dei bombardamenti. L’ufficio di rappresentanza presso il Centro congiunto per il controllo e il coordinamento del regime di cessate il fuoco (Jccc) ha spiegato in un nota che «due civili sono stati uccisi e un edificio residenziale è stato completamente distrutto». Secondo Ivan Filiponenko, rappresentante della milizia popolare di Luhansk, 24 centri abitati della Repubblica separatista sono stati bersagliati solo domenica.

Kiev intanto fa i conti con la minaccia di un attacco sulla capitale, adombrata da fonti di intelligence americane. La popolazione, tuttavia, non sembra dare molto credito a queste ipotesi. La guerra di nervi non ha ancora prodotto il fuggi fuggi dalla capitale, a parte alcune rappresentanze diplomatiche e uomini d’affari che stanno traslocando a Leopoli, a pochi chilometri da una via di fuga verso la Polonia. Vista dalla metropoli, dove i negozi del lusso e i ristoranti alla moda continuano a illuminare le vie del centro, nessuno crede davvero che da Mosca si possa bombardare una città i cui affari sono fortemente sostenuti anche da imprenditori russi, assai interessati alla conversione tra moneta ucraina e rublo.

Kiev, infatti, ha chiuso il 2021 con dati record nonostante la pandemia: crescita del 3,2% su base annua, a fronte di una contrazione del 4% nel 2020. In dollari Usa, vuol dire un prodotto interno lordo da quasi 200 miliardi, il massimo storico. Nell’ultimo trimestre del 2021 una stima preliminare indicava una crescita del 5,9%, il livello più alto da oltre 10 anni. Una guerra su larga scala avrebbe un effetto economico devastante sul Paese e sui partner, tra cui l’Italia, che nel 2021 ha visto scambi per oltre 4miliardi di euro. La Camera di Commercio italiana a Kiev parla di «un bilancio del commercio Ue-Ucraina pari a 40 miliardi di euro, e di una crescita annua del 27%».

Perciò l’onda d’urto della guerra di Putin farebbe tremare ben al di là delle riserve minerarie del Donbass e degli affacci strategici sul Mar Nero.

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