
Migranti a Tijuana, in Messico, al confine con gli Usa - Reuters
Cassata la corsia preferenziale per haitiani, venezuelani, nicaraguensi e cubani. Il Messico monta tende per accogliere i deportati. Sanzioni agli agenti che non collaboreranno alle retate «Ora che cosa accadrà? ». Da Tijuana a Nuevo Laredo, la domanda si ripete martellante fra i 33mila “reduci” della app Cbp, creata dall’Amministrazione Biden per presentare richiesta d’asilo. Donald Trump l’ha bloccata ancor prima di mettere piede nello Studio ovale. Mentre, lunedì, pronunciava il discorso inaugurale, sui cellulari degli interessati è comparso il messaggio: «Gli appuntamenti sono stati cancellati». Tutti: sia i 3mila già fissati fino al 18 febbraio, sia i 30mila in attesa di data. Da allora è apparso chiaro il giro di vite trumpiano era solo all’inizio. Non solo è stato congelato il sistema per chiedere asilo. Anche chi l’ha già ottenuto non potrà raggiungere gli Usa. I voli programmati per i rifugiati ammessi sono stati annullati. Lo stop, annunciato dal presidente per il 27 gennaio, è stato anticipato a mercoledì. Le pratiche in corso sono state fermate. Inclusa quella per duecento famiglie di soldati afghani che sarebbero dovute essere ricollocate ad aprile. Le nuove istanze sono, al momento, impossibili. Cassata pure la “corsia preferenziale” concessa da Biden a haitiani, venezuelani, cubani, nicraguensi, a causa della gravità delle crisi in atto nei rispettivi Paesi. Basta domande e nessun rinnovo per il mezzo milione arrivato negli Usa con un permesso di due anni grazie alla protezione umanitaria temporanea. L’unico spiraglio per l’asilo resta l’esame caso per caso anche se ancora non è chiaro come fare. Questo accresce l’ansia lungo la frontiera dove il governo ha appena ordinato il dispiegamento di altri 1.500 militari che dovrebbero supportare i 2.200 militari della Guardia nazionale già mobilitati per l’«emergenza nazionale» appena decretata. Obiettivo: tenere sprangate le porte dell’America. Almeno in entrata. In uscita, al contrario, il capo della Casa Bianca è deciso a spalancarle per far uscire «quanti stanno nel nostro Paese senza averne diritto», come più volte affermato in campagna elettorale. Il programma di “deportazioni express” è pronto nel cassetto e prevede retate a tappeto ovunque, senza eccezioni. Nemmeno i luoghi finora “sicuri” – come chiese, ospedali, scuole – lo sono più. Ogni riluttanza nell’adeguarsi al nuovo corso da parte dei funzionari sarà perseguita con severità. Passare dalla carta alla realtà è questione di ore o di giorni. Il Messico sta già preparando le tendopoli in nove città di confine per accogliere quanti verranno spediti dal vicino. L’incognita di chi si tratterà. Solo i cittadini messicani rimpatriati, come vorrebbe la presidente Claudia Sheinbaum, o tutti i “latinos”, secondo l’idea trumpiana di rispolverare il vecchio programma “Remain in Mexico”? Il ministro degli Esteri, Esteban Monteczuma Barragán ha contatto ieri il neo-segretario di Stato Marco Rubio per «negoziare i dettagli». Non è detto che Trump sia disponibile alla trattative. Come nel primo mandato potrebbe ricorrere all’arma dei dazi per convincere Sheinbaum ad accettare le sue condizioni. La minaccia di tassare al 25 per cento le merci messicane dal primo febbraio rientrerebbe in questa strategia.