Tante manovre fuori centro

Anche il Movimento senza correnti, che riconosceva al proprio interno solo "anime" e non sotto-organizzazioni del consenso, ha vissuto la più classica delle scissioni legate alla linea polit
June 22, 2022
Tante manovre fuori centro
Anche il Movimento senza correnti, che riconosceva al proprio interno solo "anime" e non sotto-organizzazioni del consenso, ha vissuto la più classica delle scissioni legate alla linea politica. Cade una delle ultime distinzioni tra "vecchi" e "nuovi" partiti, ora simili anche in un dato culturale, prima che politico: l’incapacità di stare insieme, di essere "maggioranza" e "minoranza" dentro una cornice comune, di trovare sintesi avanzate rispetto alle posizioni di parte. Chi vince – ai gazebo, nelle urne digitali o nei Congressi – prende tutto e custodisce gelosamente il potere dei poteri, la composizione delle liste elettorali. Chi perde fa i bagagli e se ne va, andando a creare nuove creature (più o meno) personalistiche.
La diatriba tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio si è conclusa dunque senza originalità, ove per originalità si intende la volontà (capacità?) di fare politica per davvero, ricomponendo i pezzi della società che si intende rappresentare. Il trentacinquenne bi-ministro degli Esteri, già superministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, già capo politico M5s, già vicepresidente della Camera, ha ritenuto che non fosse più possibile andare avanti nella casa politica che nei fatti ha co-fondato. L’ex premier di due governi, già «avvocato del popolo», mediatore con l’Europa per conto di una maggioranza sul filo dell’euroscetticismo, poi negoziatore della svolta Ue che ha portato al mega-piano Next Generation Eu, riferimento istituzionale per il Paese nel primo tempo del Covid e infine guida della nuova fase M5s, ha accolto la scissione non con preoccupazione ma con «sollievo». Non c’è da meravigliarsi se l’accavallarsi di questo continuo frantumarsi del quadro politico allontani i cittadini dal voto.
L’aspetto singolare delle scissioni degli ultimi trent’anni, è che la gran parte nascono con l’obiettivo di andare a costruire una "terza via", un "grande centro", un "polo moderato e riformista", un pilastro antipopulista e antisovranista, saldamente europeo e atlantico, in questa fase storica anche "draghiano" in riferimento all’agenda da portare avanti. A furia di scissioni da destra, da sinistra e dalla galassia antisistema, l’affollamento al centro richiede ormai un separatore di corsie. Esperimenti "dall’alto" che però non riescono a dissipare il sospetto che tutto sia finalizzato a lanciare una scialuppa di salvataggio a chi rischia di essere escluso dal prossimo Parlamento, o a chi vi vorrebbe rientrare dalla porta sul retro. D’altra parte, sul territorio, queste esperienze si articolano in formule che sono il contrario di una reale e attesa novità: il simbolo è spesso delegato a capibastone e mister preferenze che si muovono con disinvoltura su tutto l’arco dell’offerta politica sino a quando non trovano il divano più comodo, mentre le forze vitali che pure vorrebbero dare un contributo vengono soffocate dalla logica stringente dei pacchetti di voti. Date queste premesse, è del tutto ovvio che i vari leader in cerca di un posto al sole al centro del Parlamento si lancino a vicenda veti e Opa ostili: il fine non pare essere quello di rinnovare seriamente la classe dirigente secondo i criteri della capacità, della competenza e della passione per il bene comune.
Che quindi il promotore sia Di Maio, Calenda, Renzi, Toti, i "moderati" forzisti o i governisti della Lega perennemente sull’uscio il discorso non cambia: il "centro" che serve al Paese non può nascere così, non può nascere con queste dinamiche che legano Roma ai territori solo attraverso la logica dell’interesse tattico di un capo e del suo cerchio di fedelissimi.
Il 'centro' che servirebbe al Paese, e alla politica del Paese, richiede un solido lavoro di cura di energie e vitalità inespresse che vanno generosamente - e non strumentalmente - coinvolte. Energie che, è noto, si trovano anche (ma non solo) nel mondo cattolico. L’orizzonte dovrebbe essere quello dei «costruttori», indicato dal capo dello Stato Sergio Mattarella certo non in riferimento a specifici soggetti politici, ma a uno stile più generale da assumere per la ricostruzione del Paese. Senza «costruttori», ma con una somma disordinata di «distruttori», è plausibile che le varie bozze di centro ora in pista si ridimensionino a 'centrini', che non riuscirebbero poi a resistere alla tentazione del trasformismo.

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