L'illusione del cambio di regime a Teheran. Ma una crepa c'è

Non sono emerse leadership carismatiche attorno a cui polarizzare un progetto alternativo all’attuale sistema di potere. Anzi, le principali forme di “opposizione” sono interne al sistema
June 24, 2025
L'illusione del cambio di regime a Teheran. Ma una crepa c'è
Copyright (c) 2025 Shutterstock Editorial. No use without permission. / fotogramma.it | Una protesta contro l'attacco all'Iran
Sull’ottovolante impazzito della politica mediorientale, si è passati dal rischio della guerra totale a una tregua d’armi. Un accordo gracile e che molti vorrebbero soffocare nella culla, ma che rappresenta una flebile speranza per fermare i bombardamenti, almeno fra Israele e Iran, dato che i massacri di civili a Gaza continuano inarrestabili.
Ieri l’altro, il lancio puramente formale di missili iraniani contro la base in Qatar – miglior alleato di Teheran lungo la sponda araba del Golfo e negoziatore nucleare – faceva intuire che vi era un accordo di sostanza per salvare la faccia al regime e preparare la strada a un cessate il fuoco. Molto gradito alla Repubblica islamica (tranne alle sue frange estremiste), molto meno al governo Netanyahu, che infatti ieri ha irritato il presidente Trump con le sue azioni tese a far saltare un accordo che impedisce nuovi bombardamenti.
È difficile capire se dietro le piroette e i continui cambi di rotta politica del presidente statunitense vi sia una strategia finissima, o se sia solo un procedere ondivago a seconda degli umori del momento. Quel che è certo che si è passati dal cercare il regime change, ossia di abbattere il sistema di potere (il Nezam) creatosi in Iran dopo la rivoluzione islamica del 1979, al sostenere una tregua che lo protegge dai colpi continui dell’iper-potenza militare israeliana. Forse perché appare chiaro quanto non si è voluto vedere in questi giorni, ossia che il regime di Teheran, per quanto detestato dalla maggior parte della sua popolazione, è molto ramificato nel Paese.
La caduta della Repubblica Islamica è da decenni il sogno neppure segreto della destra statunitense e di Israele, ma mai realizzato, dato che l’Iran non è la Siria, non è la Libia o l’Iraq e il Nezam ha una solidità ben maggiore del regime di al-Assad a Damasco, crollato come un castello di carte non appena venuto meno il sostegno russo, degli hezbollah libanesi e iraniano. Per quanto la popolazione sia ostile a Khamenei e al suo sistema di potere, ciò non si è finora tradotto nella formazione di veri movimenti politici organizzati che potessero sfidarlo.
Né sono emerse leadership carismatiche attorno a cui polarizzare un progetto alternativo all’attuale sistema di potere. Anzi, le principali forme di “opposizione” al sistema sviluppatesi in Iran sono interne al sistema, come il movimento riformista, che ne voleva una sua radicale liberalizzazione, senza però chiederne lo smantellamento. All’estero rimangono figure come il figlio dell’ultimo shah, Reza Ciro Pahlavi, che si agita molto in questi giorni ma che è palesemente privo di un reale seguito nel Paese. O peggio, vi sono movimenti radicali come i Mujaheddin--e Khalq, da molti considerati un gruppo terrorista, e fermi a una ideologia islamo-socialista superata dalla storia.
E allo stesso modo, l’illusione di usare contro il sistema di potere di Teheran le minoranze etniche e religiose, dai baluci nel sud-est, ai kurdi, alla minoranza araba del sud-ovest, è velleitaria. Perché essi possono sì creare problemi di sicurezza e tensioni interne, ma certo fa sorridere l’idea di un Iran gestito dalle tribù baluce. La verità è che il regime può contare su un blocco sociale fatto dai ceti più disagiati, che beneficiano del clientelismo del regime, così come da una nuova borghesia legata al Nezam, in cui soldi e affari, si mischiano alla gestione del potere e degli strumenti repressivi. I pasdaran non sono delle forze armate arruolate a forza, come tanti eserciti dei dittatori mediorientali: essi beneficiano di questo sistema politico e sono quindi disposti a difenderlo, anche a costo di sparare sulla propria popolazione.
Paradossalmente, la decimazione dei loro vertici per opera di Israele, nel medio termine, rischia di rafforzarli; da tempo la nuova generazione di ufficiali dei pasdaran criticava la corruzione dei loro vertici, troppo intenti a rubare soldi, a gestire il potere e poco a curare gli aspetti propriamente militari.
La loro morte spiana la strada a nuovi comandanti più determinati e meno corrotti. Infine, Teheran può contare – anche se in modo limitato – di un certo sostegno internazionale. Poco dalla Russia, che sembrava quasi aver accettato uno scambio Ucraina/ Iran con Trump; ma la Cina, per quanto prudente a non farsi coinvolgere nelle vicende militari, ha molti interessi in Iran e nel Golfo, e non farà mancare il suo prudente sostegno nelle fasi di ricostruzione economica (e probabilmente anche militare).
Quanto può infine rafforzare Teheran è imparare dai brucianti colpi ricevuti e scegliere di rinunciare alle sue ambiguità sul nucleare. Concedere a Trump di sbandierare un successo internazionale che non è finora riuscito a cogliere sarebbe la sua miglior garanzia. E permetterebbe forse una ripresa della fazione pragmatica e moderata rispetto all’oltranzismo radicale dei pasdaran.

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