La prescrizione va salvata facendo giustizia

La proposta del ministro Bonafede: sospendere sine die il corso della prescrizione penale una volta finito il processo di primo grado
November 2, 2018
La prescrizione va salvata facendo giustizia
Suscita roventi polemiche la mossa annunciata (quasi) a sorpresa del ministro Bonafede, per sospendere sine die il corso della prescrizione penale una volta finito il processo di primo grado. Una critica di metodo è certamente legittima: quella di voler infilare con un emendamento in una normativa specifica – la cosiddetta 'spazzacorruzione' – una regola palesemente estranea perché destinata a valere per qualsiasi reato.
Forzature del genere sono un vecchio vizio di ministri e parlamentari di ogni colore, ma il fenomeno sta assumendo dimensioni e particolarità sempre più tra il preoccupante e il ridicolo (il 'caso Ischia' insegna). Nel merito, la proposta appare eccessiva, per quanto in passato essa abbia avuto il sostegno di giuristi autorevoli e tutt’altro che forcaioli. Ma sarebbe opportuno anche non esagerare con i toni da scandalo.
Un punto che andrebbe finalmente chiarito, senza esasperazioni unilaterali, è quello dell’ambiguo rapporto tra la disciplina legislativa della prescrizione e il principio costituzionale (art. 111) della ragionevole durata dei processi. Si dice, e non del tutto a torto, che con la proposta pentastellata prende corpo il rischio di processi che durino all'infinito, a lesione di tale principio e con una innegabile iniquità, quantomeno quando sia il pubblico ministero a impugnare una sentenza di assoluzione (anche se resterebbero pur sempre in piedi come deterrenti la possibilità di censure a opera della Corte europea di Strasburgo e la 'legge Pinto', che configura sostanziosi risarcimenti per le violazioni di quel principio a prescindere dall’operare o meno della prescrizione).
Si osserva poi che la più alta percentuale di prescrizioni si registra già in fase di indagini preliminari e non davanti alle Corti di appello o alla Corte di cassazione. Vero anche questo; ma ciò accade soprattutto perché i magistrati inquirenti accantonano certi fascicoli, sol perché già si può dare per scontato che, se si andasse avanti, la prescrizione, prima o poi, scatterebbe comunque... In ogni caso è notorio che gli appelli sono spesso usati soltanto per cercare di portare avanti il processo, in modo da far scattare, mal che vada, la prescrizione; e vengono proposte impugnazioni che altrimenti sarebbero ritenute indecorose da qualunque difensore.
Colpa degli avvocati? No, colpa del sistema; ma non si venga a dire che, in un simile contesto, la presenza della prescrizione è sempre a garanzia del principio della ragionevole durata del processo e addirittura pilastro dello Stato di diritto... Una soluzione abbastanza equilibrata, sul punto, si è trovata con la 'riforma Orlando' della scorsa legislatura: oggi, perciò, la prescrizione resta sì sospesa, ma solo per diciotto mesi quando si va in appello e per altri diciotto mesi durante il giudizio di Cassazione. È sufficiente perché si possa essere del tutto appagati? Direi di no, e non solo perché i processi continuano a durare troppo per un complesso di cause strutturali, ciascuna, di per sé, riconducibile a buoni principi, e però costitutive, nel loro combinarsi, di un cocktail micidiale (l’elenco sarebbe lungo...).
Più di una goccia, in questo cocktail, continua in ogni caso a portarla un’altra componente – la più basilare – della tradizionale (e attuale) disciplina della prescrizione processuale. Il relativo corso comincia infatti a decorrere dalla data della commissione del reato, e questo può rimanere per anni occultato, specialmente quando si tratta di corruzione o simili, dato l’interesse a tacere, che normalmente accomuna tutte le persone coinvolte e data la difficoltà dell’emergere di prove documentali o testimoniali.
Perché, allora, non si comincia a voltar pagina dal punto di partenza? Perché, insomma, la prescrizione non viene invece fatta decorrere dal giorno in cui la notitia criminis perviene alla polizia o al pubblico ministero, così da azzerare alla base il tempo in cui i potenziali inquirenti restano inerti unicamente perché non sanno nulla del delitto? Il fatto è che proposte del genere – pur modellate sulle esperienze di altri Paesi – sono sempre rimaste dei conati di qualche vox clamantis in deserto, preferendosi spendere energie in una sorta di torneo al pallottoliere, con vorticose alternanze di allungamento e di accorciamento dei termini di prescrizione a seconda del soffiare del vento dentro e fuori delle aule parlamentari. E, questo, senza riuscire mai a garantire processi rapidi ma non sommari né a scongiurarne esiti fallimentari. Quelli che la prescrizione, se viene a scadenza, certifica.

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