Fortuna, Aurora e il male che ci sfigura: siamo noi, disperati, il «silenzio di Dio»

di Marco Tarquinio
May 6, 2016
Il male esiste, gentile amica. E sfigura il volto degli esseri umani, allontanandoli anche ferocemente dalla somiglianza con Dio. Da secoli continuiamo a sperimentare e a inorridire per il maligno strazio che continua in ogni dove, e infinite volte lontano dai nostri occhi e dalla nostra indignazione, nelle vite dei piccoli, dei deboli, degli innocenti e specialmente delle donne. Ma il maligno non è stato, non è, né sarà mai il Signore del tempo e della storia. La sua forza si alimenta delle nostre libertà impazzite, delle volontà di sopraffazione, delle omertà scandalose e complici, degli egoismi atroci. Ma le sue parole e i suoi gesti possono sfregiare l’amore, ma non ne hanno la potenza, ne sono un’eco ingannevole e marcia. Io da cristiano ci credo, da cronista continuo a trovarne le prove, da uomo non smetto di sperarlo. Infine, gentile signora Arianna, conta solo l’amore. Anche quello umiliato e spezzato. Anche Gentile direttore, Fortuna e Aurora: due nomi beneauguranti che stridono se si pensa che appartenevano a due povere bambine vittime della mostruosità umana. Fortuna in modo terribile, a Caivano, Aurora, forse per maltrattamenti, a Milano. Davanti a tanta malvagità, qualcuno può ancora definire l’uomo “creato a immagine e somiglianza di Dio?”. Oppure si dovrebbe esclamare con David Turoldo: «E tu Cristo non dici più niente, / Cristo sei muto più del cemento». Arianna Gatti l’amore crocifisso. Sempre l’amore che non conosce rassegnazione di fronte al trionfo del male. L’amore che nessuna sdolcinata cartolina può contenere, perché lotta e abbraccia, scalcia e insegue, e parla chiaro e grida. Magari ritrovando proprio il vigore del grido di padre Turoldo, che lei cita a memoria e che tanti di noi sentono riecheggiare in testa e cuore in frangenti amari della propria vita o dentro le tragedie in cui ci precipitano le nostre perdizioni. A quel grido, nelle mie orecchie nello speciale e umanissimo tempo senza tempo della poesia, rispondono dagli anni della mia giovinezza le parole rauche e limpide di Ungaretti: «Vedo ora nella notte triste, imparo, / so che l’inferno s’apre sulla terra / su misura di quanto / l’uomo si sottrae, folle, / alla purezza della Tua passione. / (…) Cristo, pensoso palpito, / (…) Fratello che t’immoli / perennemente per riedificare umanamente l’uomo». Qui e ora, cara amica, il silenzio di Dio siamo noi, disperati. E siamo noi a dare all’Onnipotente voci e mani. © RIPRODUZIONE RISERVATA il direttore risponde

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