Piazze per Gaza: a Milano i centristi uniti, a Roma i timori e le polemiche
di Paolo Viana
Oggi attese 50mila persone nella Capitale per l'iniziativa lanciata da Pd-M5S-Avs. Il racconto della manifestazione di ieri

Sono due le bandiere che l’Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei) vorrebbe vedere sventolare oggi nella manifestazione di Roma per Gaza: quella israeliana insieme a quella palestinese. «Siamo preoccupati per la scelta di difendere solo un popolo – quello palestinese – e non anche quello israeliano. Con una bandiera e non con due. Una popolazione da nutrire, consolare e tutelare. Non due», si legge nel comunicato diffuso ieri dall’Ucei, in cui la presidente dell’Unione, Noemi Di Segni, elenca una serie di «carenze e incongruenze» nelle dimostrazioni di solidarietà per la guerra in Medio Oriente e nell’organizzazione della protesta di oggi. Tra queste c’è la preoccupazione per il rischio che le critiche «legittime» al Governo di Israele si trasformino in un giudizio «generalizzato e diffuso, che rinnova pregiudizio e odio verso l’intero popolo ebraico nel mondo».
Le comunità ebraiche temono lo scoppio di una nuova ondata di antisemitismo, anche in questi giorni - scrive Di Segni - «per le voci attigue alla piazza del 7 giugno, dentro gli atenei, le scuole, gli spazi culturali di associazioni che raccolgono l’eco dell’unilateralità e lo trasformano in appelli all’esclusione, alla distruzione e alla vendetta». C’è poi la preoccupazione «come cittadini italiani», per la tendenza «ad escludere anziché includere», sottovalutando «la reale minaccia e violenza che scaturisce da parole e slogan». La presidente dell’Ucei ribadisce, infine, la necessità di lavorare per una soluzione con “due popoli e due Stati”: «È un sogno, si è sbiadito in questi logoranti mesi, ma è l’unica speranza».
Dal palco della manifestazione romana per Gaza, dove sono attese 50mila persone e si temono blitz e azioni dimostrative delle frange più estreme della protesta, si alterneranno un giornalista palestinese e un giovane israeliano obiettore di coscienza, contrario alla guerra di Netanyahu. E poi i giornalisti Rula Jebreal e Gad Lerner, oltre a rappresentanti di associazioni come Acli e Arci.
A Milano i centristi per i due Stati (e Renzi e Calenda si stringono la mano)
Non mancano i distinguo nella prima manifestazione “unitaria” tra Azione e Italia viva. Arrivano a Milano divisi, Carlo Calenda e Matteo Renzi, per colpire uniti. L’evento al teatro Parenti - «Due popoli, due Stati, un destino», il tema del dibattito che ha riunito centinaia di persone ieri pomeriggio - rimarca il punto più divisivo tra centristi e sinistra: la condanna dell’antisemitismo. Distinguere tra le responsabilità del governo di Tel Aviv e la sopravvivenza di Israele sembra impossibile e infatti su questo punto si è spaccato il centrosinistra sul corteo di oggi nella Capitale. L’ha detto Carlo Calenda segretario di Azione: «Non c’era velleità di separare alcunché, ma nella piattaforma non si è detto no alla distruzione dello Stato di Israele». Questo il dato politico. Poi c’è quello più ampio. Perché è pacifico che «non possiamo essere impiccati all’accusa di essere sionisti da chi vuol cancellare Israele con uno stato palestinese dal fiume al mare» così come l’osservazione che «razzisti e suprematisti non hanno a che fare con gli ebrei», esclama dal palco un ebreo (per parte di madre) come Enrico Mentana. Ci si divide anche sul termine “genocidio” - «sfregio liberatorio verso lo Stato di Israele» secondo il giornalista - ma non su Nethanyahu, che «si deve fermare» ammonisce Benedetto Della Vedova, fondatore di +Europa: «Dopo l’assalto di ottobre abbiamo ritenuto giusto l’intervento, ma questa è una guerra senza obiettivi e senza senso», ammette.
Renzi sottolinea che «qui non facciamo manifestazioni contro altre manifestazioni». Infatti parla l’ex ministro Graziano Delrio e avverte che «si cerca un dialogo, con fatica». Delrio è un parlamentare del Pd ma anche un cristiano che vuol mettere «la mano sulla spalla a tutti e due i popoli, non dobbiamo scegliere». Parole ruvide, quelle che pronuncia dal palco, poco prima che intervenga la vicepresidente dell’Europarlamento Pina Picierno, altra esponente del Pd. Nessuna concessione a Israele. «Inferno a Gaza», esordisce la Picierno, la quale aggiunge: «Abbiamo il dovere di dire che il 7 ottobre nasce quando un pezzo di opinione pubblica ha iniziato a pensare che Hamas non fosse solo terrorismo ma resistenza». E Delrio rincara la dose: «Hamas è il problema e non la soluzione: questa cosa in Italia non si riesce a dire». Sta parlando anche alla sua sinistra che oggi sfilerà a fianco della sua segretaria politica.

A confermare che il dialogo c’è ma è faticoso contribuisce un altro dem, Emanuele Fiano, il quale ricorda di aver presentato una proposta ben prima della mozione unitaria di Pd, M5s e Alleanza Verdi-Sinistra. È lo stesso Fiano, al Parenti, ad ammettere un ammorbidimento di Schlein, «ma non di Fratoianni». Insomma si lavora sulla condanna paritetica di Hamas e di Netanyahu, ma, per usare le parole di Delrio, «si cerca con fatica una base comune» che però non si trova. Restano molte divisioni, anche interne - Fiano se la prende con la Brigata ebraica che contesta l’equivalenza tra Hamas e Netanyahu -, ma c’è la volontà di contrastare i fanatismi. È il punto su cui insiste Matteo Renzi aprendo un dibattito che alcuni non volevano: nella notte sono apparse scritte sui muri e persino lucchetti alle porte del teatro, subito rimossi. Contro il fanatismo - «vogliamo una vita per chi vive a Gaza e vogliamo che Israele si senta sicura» - parla anche uno degli ostaggi liberati, Aviva Siegel, 64 anni. Così come Hamza Howidy, un dissidente palestinese perseguitato da Hamas. C’è voglia di dire “basta” alla guerra di Netanyahu e «a dirlo dobbiamo essere noi amici di Israele, per la salvezza d’Israele», dichiara Calenda, perché «Israele ha il diritto di difendersi ma secondo il codice di una democrazia, che non è quello di Hamas».
Per Renzi «lo Stato di Israele ha il diritto di esistere, ha il dovere di esistere. Finché c’è la repubblica islamica dell’Iran che vuole distruggerlo: noi lo ripeteremo. Allo stesso modo lo stato di Palestina ha il diritto di esistere. I bambini di Gaza hanno il dovere di esser liberati dalla dittatura di Hamas». Poi, l’affondo che tira una riga rossa e qualifica la politica estera dei due partiti: «La distruzione dei terroristi è l’obiettivo in quella parte del mondo». E c’è un passaggio obbligato, che è poi l’obiettivo politico enunciato da Calenda: «Dobbiamo arrivare al riconoscimento dello stato palestinese se vogliamo due popoli e due stati, non raccontiamocela!».
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