Perché sberle e sculacciate non servono. Anzi, fanno danni peggiori

L'Oms: punizioni corporali sui minori ancora in uso su 1 miliardo e 200 milioni di minori al mondo. Gli effetti sono sviluppo rallentato e vocabolario ridotto, oltre a risultati scolastici negativ
August 31, 2025
Perché sberle e sculacciate non servono. Anzi, fanno danni peggiori
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Una sculacciata non ha mai fatto male a nessuno. A contraddire l’ancora radicata vox populi ci pensa – semmai ce ne fosse ancora bisogno – uno studio sulle punizioni corporali appena pubblicato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Per prima cosa gli scienziati dell’Oms fanno i conti: nel mondo, ogni anno, un miliardo e 200mila bambini – di cui 330 milioni sotto i cinque anni – sono sottoposti sberle, calci o “semplici” tirate di capelli. Le prendono da genitori, zii e nonni che usano le punizioni fisiche, senza risparmiare neonati e piccolissimi, come uno strumento educativo.
Peccato – ed è questa la seconda parte del report “Corporal punishment of children, the public health impact” – che così non è affatto: i bambini non imparano come comportarsi a forza di essere picchiati; anzi, dicono gli esperti, se sono sottoposti a punizioni fisiche l’atteggiamento dei minori nel tempo peggiora, allontanandosi dall’esito che gli adulti auspicherebbero.
Schiaffi, colpi con la cintura ma anche lanciare una ciabatta contro un bambino o lavargli la bocca con il sapone sono state azioni accettate e legittimate nelle tradizioni culturali di molti Paesi per generazioni ma oggi sono condannate tout court dagli esperti. Medici e psicologi sono concordi nel dire che colpire un bambino è una violenza immediata ma anche sul lungo termine lascia ferite psicologiche, come paura, ansia, depressione e bassa autostima.
Alcuni studi citati dagli esperti Oms mostrano che i bambini puniti – anche con apparentemente innocue sculacciate – hanno uno sviluppo rallentato e un vocabolario ridotto, vanno peggio a scuola e faticano a concentrarsi; mentre chi da piccolo ha preso le botte a sua volta diventa un adulto più aggressivo e incline alla violenza con il partner e con i propri figli nonché una persona che rischia di incorrere in forme di dipendenza da alcol e droghe.
E non è finita qui: il danno è persino economico e sociale. L’Oms stima che la violenza contro i minori costi tra il 2 e il 5 per cento del Pil globale ogni anno per il peso che genera sui sistemi sanitari e giudiziari; mentre la Banca Mondiale ha calcolato che non estirpare la violenza a livello scolastico, compresa quella delle punizioni corporali esercitate da maestri e insegnanti in molte classi del mondo, pesa sulla qualità dell’apprendimento e a livello globale costa 11 trilioni di dollari in mancati guadagni degli alunni nel corso della loro vita.
Eppure, nonostante le evidenze, la pratica è dura a morire. Ancora diffusa in tutti i continenti, scagliarsi contro i più piccoli è prassi comune in tutti i continenti, soprattutto in 49 Paesi a basso e medio reddito dove è la normalità in famiglia ma anche a scuola: in Africa e in America latina, per esempio, il 70 per cento dei bambini dichiara di subire provvedimenti corporali dagli insegnanti – dalla primaria fino alle superiori – una percentuale che scende al 40-50 per cento tra Europa e Asia orientale.
Nel nostro Occidente le cose vanno meglio ma neppure troppo. In Australia oltre sei adulti su dieci ricordano di essere stati puniti fisicamente da piccoli e nel Regno Unito circa due bambini su tre fanno tuttora esperienza delle botte in famiglia. Uno studio del 2015 condotto negli Stati Uniti su 2.200 genitori ha rilevato che un quarto dei genitori con bambini con meno di 5 anni li sculacciava più volte a settimana e il 17% li picchiava usando cinture, righelli, cucchiai di legno e grucce.
Per rendere l’idea la fondazione End Corporal Punishment, che mira a estirpare la pratica su tutto il planisfero, raccoglie i dati e crea materiali divulgativi sull’argomento: oggi i Paesi che hanno vietato ogni forma di punizione sono 68, un numero cresciuto molto negli ultimi decenni e che appare significativo soprattutto osservando che nel 2000 nel gruppo vi erano appena 11 Stati, mentre dal 2012 al 2024 le adesioni sono raddoppiate.
Nonostante questa notevole progressione, nell’elenco dei «Paesi verdi», quelli in cui le punizioni corporali sono avversate in ogni ambito, non c’è l’Italia: nel nostro Paese – unico nel continente insieme alla Slovacchia, Belgio e Gran Bretagna – schiaffi e sculacciate sono vietate solo a scuola e negli istituti penali; in famiglia invece nessuna legge proibisce di adoperarle. Solo nel 1996 la Corte Costituzionale aveva provato ad avanzare il problema con una sentenza che considerava non più giustificabile qualsiasi forma di violenza per l’educazione dei figli anche tra le mura domestiche. Quella pronuncia, però, che segnava un primo passo nella direzione corretta, è restata lettera morta ed è diventata una scusa per il Parlamento che mai, in questi anni, si è preso la briga di convertire la sentenza in un’apposita legge, che quindi gli organi internazionali a difesa dei diritti dei minori continuano a chiederci.
C’è da dire comunque che il divieto normativo da solo non assicura automaticamente un cambiamento culturale. In Kazakhstan, Mongolia e Nepal sono state introdotte leggi per proibire violenze sui minori ma nei fatti la diffusione di punizioni corporali non è cambiata. Viceversa, ci sono almeno nove Paesi che, senza norme, hanno avviato un cambio di passo a livello culturale e sociale. Quale sia la situazione nei fatti in Italia è difficile da dire. Lo sforzo di ottenere una panoramica in questo senso l’ha fatto Save the children ormai una dozzina di anni fa: all’epoca più di un quarto dei genitori italiani ammetteva di ricorrere allo schiaffo quasi tutti i giorni, vedendoci una valenza educativa, mentre quasi la metà dei papà e delle mamme di allora lo utilizzava ma solo come punizione eccezionale.
Emblematico di come la norma e la prassi possano accompagnarsi è il caso della Svezia, il primo Paese a vietare, nel 1979, le punizioni corporali su tutto il territorio nazionale. Alla regola che ha fatto storia e scuola a livello globale, il governo scandinavo ha affiancato un sistema educativo basato sul rispetto dei bambini e sull’ascolto dei più piccoli che era riuscito a diminuire l’uso di sberle e calci già prima dell’introduzione della norma e che ancora oggi viene invidiato e studiato in tutto il mondo.

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